SEMINARIO ORGANIZZATO DA SARDEGNA SOLIDALE: LA POVERTA’ IN SARDEGNA DIMENSIONI, CARATTERI, RISPOSTE.
Nel corso del seminario, organizzato da Sardegna solidale, è stata presentata una ricerca effettuata dalla Fondazione Zancan sulla povertà in Sardegna.
Ai lavori, aperti da Giampiero Farru, presidente del centro servizi volontariato di Sardegna solidale, hanno partecipato l’assessore regionale al lavoro, Franco Manca, Bruno Loviselli presidente del comitato di gestione della Sardegna, Tonino Piludu presidente del CREL, il Dr. Calia della Caritas, Mons. Angelo Pittau del Comitato promotore CSV Sardegna solidale e Fabrizio Carta della Cisl cagliaritana.
Maria Bezze e Tiziano Vecchiato della Fondazione Zancan hanno presentato i dati, per la verità ancora incompleti, sulla povertà in Sardegna, esaminando anche i provvedimenti presi in Regione dal sistema Regione – Enti Locali e gli effetti che questi hanno determinato rispetto al fenomeno della povertà.
Il concetto di povertà è relativo: si considera povera la famiglia con due persone che spende una somma inferiore ad € 982,00 mensili. La percentuale delle famiglie povere è in Sardegna pari al 21,4% contro la media nazionale del 10,8% e quella del 22,7% del Meridione. La Sardegna non solo si colloca, purtroppo, tra le Regioni più povere ma vi è stato un aumento molto forte negli ultimi anni. Una povertà legata non solo a questioni economiche, ma anche all’esclusione sociale. Insomma i poveri, in Sardegna, a rischio esclusione sociale raggiungono le 500.000 persone.
Troppe, a giudizio degli estensori della ricerca, le decisioni prese dalla Regione, tra l’altro con diverse tipologie: delibere, leggi. Inoltre le norme sulla povertà spesso sono inserite nella legge finanziaria e ciò costituisce un errore. Ci vorrebbe invece un testo unico, una legge organica per i provvedimenti che combattono la povertà, puntando sulla semplificazione e sulla sburocratizzazione.
Questi provvedimenti per il 45% sono interventi economici, per il 32,7% sono servizi sociali e per il 22,1% intersettoriali.
In pratica la spesa si può considerare alta in Regione, quasi il doppio della media nazionale, ma il rendimento degli interventi appare modesto, tanto che le speranze di uscire dalla povertà in Sardegna attualmente sono al 3%. Tuttavia, a detta dei ricercatori, l’entità delle risorse bilanciate se calibrate diversamente potrebbe dare nuove opportunità alla risoluzione di un problema così acuto nella regione.
L’assessore Manca, intervenuto prima della presentazione del rapporto, ha annunciato alcuni provvedimenti: 4 milioni di euro a favore dell’attivazione del servizio civile a favore delle associazioni, il finanziamento di 50 milioni per il Fondo del Microcredito, 6 milioni per le famiglie, 30 milioni per i Comuni per attenuare le povertà. Anche secondo l’assessore non basta l’assistenza, ma occorre puntare sugli investimenti e sulla coesione sociale.
Il segretario della Cisl di Cagliari, Fabrizio Carta, ha ricordato i primi passi del movimento nato nell’isola per combattere la povertà, alla cui testa c’è sempre stata la Cisl, e sul quale a volte è stato espresso scetticismo negli anni scorsi. Un movimento che si è via, via arricchito di partecipazione ed ha chiesto più volte la creazione dell’osservatorio regionale sulle povertà, finora senza successo.
Una povertà che cresce, a causa della crisi economica, del calo del potere d’acquisto dei salari e delle pensioni, dell’aumento dell’utilizzo degli ammortizzatori in deroga e dell’incremento del tasso di inattività specie tra i giovani e le donne, del sovraindebitamento.
Ma, a parere del sindacalista, il problema povertà, essendo relativo, va affrontato anche dal punto di vista culturale, cercando di modificare quel modello consumistico dominante che punta su disvalori (ricchezza, carriera, denaro) e crea disuguaglianze profonde, che creano disagi psicologici ed emulazione. Ci vuole perciò una rivoluzione culturale e puntare sullo sviluppo ed una maggiore crescita, pur difficile.
Bisogna anche dare risposte immediate, non solo assistenziali, ma che restituiscano dignità a tanti lavoratori e pensionati. Per questo bisogna fare rete perché si fanno tante iniziative ma spesso slegate l’una dall’altra. Ma allora, la Chiesa, il sindacato, le associazioni di volontariato, la Caritas, la Banca Etica devono unirsi in una logica di sussidiarietà, per integrare gli interventi che il sistema degli enti locali deve mettere in campo. Occorre spingere sul sistema delle banche perché si cambi rotta. Per esempio, il decreto sullo sviluppo (che peraltro contiene qualche norma positiva) prevede però l’aumento dei tassi soglia, cioè dei tassi di usura e ciò non favorisce le fasce più deboli.
Oltre il microcredito, si potrebbe ipotizzare la creazione di un fondo di garanzia, a capitale pubblico privato, che venga incontro alle situazioni di sovra indebitamento del lavoratore dipendente.
In conclusione, appuntamento ad ottobre quando presentata la seconda parte della ricerca.