Articolo tratto dal "Messaggero",
Vestita con un tradizionale abito birmano nei toni del viola e del lilla, lunga sciarpa al collo e nei capelli raccolti i fiori bianchi che sono ormai un suo tratto distintivo, la leader dell’opposizione birmana Aung San Suu Kyi ha potuto finalmente accettare in modo formale il premio Nobel per la Pace che le era stato conferito nel 1991. Pallida ed emozionata la fragile sessantaseienne signora è stata accolta nella sala del Nobel di Oslo da più di un minuto di applausi.
Ha tenuto il suo discorso di accettazione davanti a ai reali di Norvegia e a circa seicento alti dignitari che, per ben due volte, le hanno tributato una vera e propria standing ovation. «Spesso, durante gli anni degli arresti domiciliari - ha dichiarato Aung San Suu Kyi - mi sono sentita come se non facessi più parte del mondo reale… Vincere il premio Nobel mi ha fatto sentire di nuovo vera, mi ha riportato tra gli appartenenti al consorzio umano». A suo tempo la leader birmana non si era recata ad Oslo per paura di non essere più autorizzata a rientrare nel suo paese, e il premio era stato accettato a suo nome dai figli Kim e Alexander. Presente anche il marito Aris, accademico di Oxford, che sarebbe morto dopo qualche anno senza poter rivedere la moglie.
Nel 1991, ha aggiunto la Suu Kyi, «ho sentito la notizia alla radio, e mi è sembrata completamente irreale. Ma il premio ha contribuito a focalizzare l’attenzione del mondo sulla lotta per la democrazia e per i diritti umani che si svolgeva in Birmania... Mi ha fatto capire che non saremmo stati dimenticati».
Figlia del leader dell’indipendenza Aung San assassinato nel 1947, Suu Kyi ha studiato a Oxford ed è vissuta per lunghi anni all’estero. Ha deciso di riprendere la lotta e le idee paterne mettendosi alla testa del movimento per la democrazia e i diritti umani soltanto nel 1988, quando è ritornata in Birmania per occuparsi della madre ammalata. Da allora non aveva più abbandonato il paese, né per motivi personali né per motivi politici.
Questo viaggio all’estero, il primo dopo più di ventiquattro anni, è stato letto come un chiaro segno di fiducia nel governo del presidente Thein Sein salito al potere nel 2011, quando in Birmania si sono tenute le prime le prime elezioni libere dopo venti anni. A Oslo Suu Kyi è sfilata dentro a strade gremite di una folla festante che, tra canti e danze, lanciava petali di fiori. «Non bisogna però dimenticare che in Birmania rimangono ancora molti prigionieri politici», ha ricordato a una gremita Oslo City Hall descrivendo i cambiamenti della situazione politica nel suo Paese e la delicata fase di transizione che sta attraversando. «Il pericolo è che vengano dimenticati perché i più famosi sono stati rilasciati, e nessuno si preoccuperà più di quelli che rimangono, gli sconosciuti». E ha concluso: «Ogni prigioniero per reati di opinione è un prigioniero di troppo».
Il premio nobel Aung San Suu Kyi, durante questi anni, è stata sempre sostenuta nella sua lotta dalla Cisl, come simbolo della lotta per la democrazia e la libertà.