03/04/2006
Politiche creditizie: progetto di Governance, incontro in confindustria
Governance CGIL CISL UIL – Confindustria Cagliari.

Incontro del 3 aprile 2006.
Traccia intervento Cisl di Cagliari

Nel progetto di Governance si è voluto dedicare un punto importante alle problematiche del credito.

Ci è sembrato opportuno aprire la discussione, in un periodo come questo, anche in considerazione di quanto sta emergendo nell’opinione pubblica.

Quindi, a nostro parere se si vuole avere un ruolo attivo, occorre attivare il tavolo per valutare l’andamento del mercato del credito nel territorio e perciò: le condizioni praticate, l’efficienza dell’offerta, la sua aderenza alle esigenze del sistema produttivo, la competitività e la concorrenzialità del sistema.

E’ chiaro che non è il credito a ingenerare da solo lo sviluppo, ma ne costituisce un tassello determinante.

Da più parti e anche da parte della Regione sarda si sente sempre più parlare della riedizione di una nuova conferenza sul credito, dopo quella di una decina di anni fa. Fatto interessante, a patto che non si parli solo di poltrone: perché l’intento non può che essere quello di orientare in modo duraturo il credito verso lo sviluppo

In ogni caso, è fondamentale verificare quale incidenza ha, nel nostro territorio, questo fattore (quello del credito) sulle linee di sviluppo dell’economia per poi, naturalmente, ipotizzare iniziative conseguenti, richieste di incontri o altro.

E’ chiaro poi che la politica che la Regione sarda sta seguendo nel settore e le decisioni di dismettere le quote della Banca CIS, nonché l’ipotesi trasformare la SFIRS in agenzia governativa, acquistando le quote – tra cui quella di CONFINDUSTRIA – non possono passare sotto silenzio.

Partendo dall’analisi dell’osservatorio economico, non si può non rilevare che, riguardo alle reti bancarie l’indice di dotazione, per l’anno 2004, nella provincia di Cagliari è pari al 51,1, superiore si alla media regionale (49,3), ma inferiore al mezzogiorno (59,6) centro nord (122,4) e ovviamente alla media nazionale. Non solo, l’indice di dotazione che, nel 1991, era pari al 70,8 sembra in costante diminuzione: 60,4 nel 1999, 51,1 appunto nel 2004.

Poiché, mi sembra che la questione non sia tanto di quantità e di numero degli sportelli bancari in provincia, che anzi il fenomeno appare in crescita: gli sportelli sono arrivati a 270 (+6,3% 2000/2004) contro il 5% regionale. I nuovi insediamenti si sono allocati più che altro nella città di Cagliari.; il grado di bancarizzazione della provincia (abitanti per sportello) è di 1/2800 (quello regionale è 1/2400).

Vi è anche un incremento dei fondi intermediati complessivamente.

Insomma, noi pensiamo che si debba discutere non tanto di quantità ma di qualità del credito.

E su questo non si può non sottolineare il fatto che in Sardegna e, ancor di più nel nostro territorio, sono completamente assenti o quasi i centri decisionali delle banche. Banche con cuore e cervello in Sardegna e a Cagliari in pratica non ce n’é.

La Banca CIS è ormai stata inglobata nella Banca Intesa e la cessione da parte della Regione per 80 milioni di euro della sua quota, rappresenta solo un tentativo di far cassa. La Regione che, certamente, non poteva controllare la banca per scelte del passato, tuttavia sembra rinunciare a influenzare questa banca nelle sue strategie, nel chiedere maggiori investimenti nell’isola, un’attenzione particolare per le piccole e medie imprese (e anche per quelle micro). Tutte aziende alle quali spesso il sistema del credito nazionale non riesce o non vuole dare attenzione. Insomma la Banca CIS, che pur nel tempo si è rispecializzata (dopo che in un certo periodo si era voluta trasformare in banca universale), è ormai sradicata dal territorio.

Il Banco di Sardegna è ormai nell’orbita della BPER, la Banca di Sassari , essendo di proprietà del Banco ne segue le sorti. Non esiste, per ragioni storiche, un sistema di casse di credito cooperativo, come in altre regioni italiane (il binomio CCCA BANCO DI SARDEGNA è stato sempre predominante in Sardegna). Esistono due banche cooperative (Cagliari ed Arborea).

Della SFIRS è noto cosa ne voglia fare la Regione. Cosa che ci è stata confermata in un incontro con la RAU. Incontro che non vogliamo rimanga isolato, dato che la SFIRS ha comunque svolto un ruolo importante e, soprattutto negli ultimi anni, non è stata solo la Finanziaria che salvava le imprese decotte, ma è stato uno strumento, anche innovativo, di sviluppo nella Sardegna.

A questo punto, vorrei sapere cosa serve mantenere in vita l’articolo 4 dello Statuto sardo, quello che attribuisce alla Regione sarda specifiche competenze sulla questione “credito” pur nell’ambito dei principi stabiliti dalle leggi dello stato. La regione, dice l’articolo 4, emana norme legislative sulle seguenti materie: istituzione ed ordinamento degli enti di credito fondiario ed agrario, delle casse di risparmio, delle casse rurali, dei monti frumentari e di pegno e delle altre aziende di credito di carattere regionale ed è competente per le relative autorizzazioni.

Naturalmente, si può discutere se è giusto che la regione mantenga quote di risorse pubbliche nelle banche o nella Finanziaria, ma quel che dovrebbe essere condiviso è che la Regione deve assumere un ruolo di proposta e di “moral suasion” rispetto alle banche. Se è vero che gli utili delle banche (italiane e sarde) sono aumentati in maniera esponenziale negli ultimi tempi (ma questo è avvenuto da sempre…basti ricordare quanto detto dal Banco di Sardegna nella conferenza di produzione del 1986), essi sono aumentati anche alla raccolte fatta in Sardegna, mentre il rapporto impieghi/Raccolta è a tutto sfavore dei sardi (magari anche per colpa loro….). Insomma anche le banche sarde sono diventate grandi, ma non hanno fatto diventare grande la Sardegna:sono state dei parassiti: bene la banca, male la Sardegna.

Il concetto di responsabilità sociale dovrebbe essere fatto presente a molte aziende di credito non solo sarde.

Circa le dimensioni, è vero che una corrente di pensiero e anche quanto si è verificato in questi anni ci dice che si va verso un aumento delle dimensioni delle banche e quindi verso la fusione delle banche, che sono diminuite di numero in Italia ma ancor più nel Sud. Tuttavia un’altra corrente di pensiero sostiene che devono esistere anche le banche locali, perché raccolgono sul territorio ma investono in loco, pur con le necessarie diversificazioni, e perché sono interessate a che nell’area di riferimento, l’economia si sviluppi e quindi possono essere davvero interessate a diventare un volano di sviluppo e non quindi solamente a raccogliere ed investire altrove.

Nelle regioni meridionali, ma anche nell’Isola, di fatto si è arrivati alla scomparsa delle banche locali, anche se per ragioni diverse.

Si tratta di stabilire quale deve essere la dimensione minima. Se il Banco di Sardegna è una banca piccola e sia sufficiente per dare risposte al tessuto produttivo della Sardegna o se invece si tratta di spingere perché crescano, accanto ai grossi colossi nazionali, anche le piccole banche di credito cooperativo. O se può essere utile dare spazio alla presenza della Banca Etica, della quale noi siamo soci.

Ma, si deve osservare che altrettanta importanza, in Sardegna, ha anche il fatto che le banche nazionali non si interfacciano con la realtà locale, sono generalmente prive di direzioni almeno parzialmente autonome, non sono ben attrezzate per svolgere in loco funzioni organizzative e gestionali dedicate all’analisi,valutazione e gestione del credito nelle aree meridionali e quindi anche della Sardegna.

Una percentuale dell’intermediazione bancaria nell’isola, di sempre maggior rilievo quantitativo, passa attraverso le banche nazionali e ciò determina la necessità di interloquire anche con queste banche che si limitano spesso a raccogliere ma ad investire altrove.

Ovviamente, bisogna ricordare che le politiche del credito si determinano ormai a livello europeo e non più solo nazionale, ma nonostante questo si deve riflettere sul rapporto tra ruolo delle banche e realtà territoriale.

Tutto ciò preoccupa ancor di più se si tiene conto di quanto stabilito da Basilea 2.

In un recente studio della Banca d’Italia si legge che il costo del credito nel Mezzogiorno rimane superiore rispetto al Centro-Nord. Secondo questa ricerca, il differenziale di tasso sarebbe mediamente dell’1,6% ovvero, tenendo conto di alcuni correttivi basati sulla diversa tipologia dei prenditori, dello 0,9%. Tale differenziale (che tradotto in euro vuol dire pressappoco da 1,2 a 2,2, miliardi di euro in più all’anno) troverebbe una giustificazione economica nella maggiore rischiosità del credito nel Mezzogiorno, espressa dalla più elevata incidenza delle sofferenze sugli impieghi.

Ma c’è di più: se invece di ragionare per dati medi, facciamo una verifica a livello disaggregato – e citiamo i dati riportati in una ricerca dell’Istituto Guglielmo Tagliacarne di Unioncamere – ci accorgiamo che quel dato medio indicato dalla Banca d’Italia, in realtà nasconde fenomeni che non possono che suscitare allarme. Infatti, la verità è che nel Mezzogiorno stesso esistono enormi differenze tra i tassi applicati tra una provincia e l’altra; a Napoli e a Palermo il tasso di interesse a breve (che è quello più indicativo) era nel giugno del 2001 del 7,8% contro il 5,79% di Milano , ma a Vibo Valentia, nello stesso periodo, il tasso a breve era del 9,96%: più di quattro punti percentuali rispetto a quello di Milano!

A noi sembra evidente che l’extracosto che grava su tutte le imprese del Mezzogiorno e contribuisce a frenarne lo sviluppo sia il frutto di due anomalie.

La prima: sappiamo che esiste una correlazione negativa tra Pil e incidenza delle sofferenze; nelle aree dove il Pil procapite è più alto, si registra infatti la percentuale delle sofferenze sugli impieghi più bassa, e viceversa, più una regione è povera, più alta è la percentuale di insolvenze e, di conseguenza, più caro è il credito. Si tratta della classica ed inesorabile “causazione circolare cumulativa” che non può che innescare una spirale perversa, che mortifica le ambizioni e la voglia di riscatto di una larga parte del nostro Paese. Liquidare questo fenomeno asserendo che il differenziale di tasso è economicamente giustificato dalla maggiore rischiosità degli impieghi nel Mezzogiorno, può essere accettabile sotto il profilo della gelida analisi numerica, ma non può lasciare indifferente tutti coloro che hanno a cuore le sorti del nostro Paese.

La seconda anomalia può essere espressa con un quesito: può una banca estranea al tessuto economico locale interpretare le esigenze del territorio, elaborare correttamente le informazioni locali ed applicare prezzi commisurati alla reale rischiosità del singolo imprenditore, senza cioè “spalmare” indistintamente su tutti i clienti l’extracosto correlato alla maggiore incidenza delle sofferenze sugli impieghi?

Solo un ceto bancario radicato nel territorio ed espressione della classe imprenditoriale locale é in grado di attuare una politica selettiva del credito volta ad incoraggiare le imprese meritevoli, facendo da volano per l’avvio di un circolo virtuoso che rilanci lo sviluppo del territorio stesso.


Proposte

· Affinare lo studio della commissione su questi punti:
· Situazione del credito in provincia
· Ruolo delle banche locali e della banca etica.
· Tassi di interesse (differenza tra tassi attivi e passivi) e rapporto impieghi depositi.
· Effetti di Basilea 2 sulle imprese locali
· Questione SFIRS

Redazione di un documento comune da utilizzare come posizione specifica del tavolo di GOVERNANCE in tutte le sedi e, per iniziare, richiesta di incontro con l’assessorato all’industria sulla questione SFIRS.

Al termine dell'incontro, si è definita una commissione di lavoro (per la Cisl ne farà parte Michele Mannu segretario generale della FIBA), mentre per il problema Sfirs, il tavolo inoltrerà una richiesta di incontro all'assessore regionale all'industria RAU