CGIL – CISL – UIL
SALVIAMO LA COSTITUZIONE
LE RAGIONI DEL NO
NEL REFERENDUM COSTITUZIONALE DEL 25-26 GIUGNO 2006
CGIL, CISL, UIL respingono unitariamente, con il NO nel referendum confermativo, la riforma della Parte II della Costituzione, approvata dal Parlamento il 16 novembre 2005.
Con questa scelta CGIL CISL UIL riaffermano come irrinunciabili il valore dell’unità nazionale, fondata sui principi dell’uguaglianza e della solidarietà tra tutti i cittadini, nonché il modello e i valori della democrazia partecipativa della Costituzione vigente, la sua natura parlamentare, con il pluralismo e l’equilibrio dei poteri che le sono propri, aspetti fortemente compromessi da questa riforma.
Le modifiche costituzionali da abrogare con il referendum, per la loro vastità, intaccano anche i Principi fondamentali e la Parte I della Costituzione, relativa ai “diritti e doveri dei cittadini”.
Gli ambiti di un sostanziale indebolimento, qualora la riforma fosse confermata dal referendum, riguardano i rapporti sociali e i rapporti politici.
Sul piano dei rapporti sociali, sarebbe la devolution ad indebolire, nei fatti prima ancora che in diritto, il ruolo promozionale, perequativo e solidaristico che la Costituzione, ad iniziare dai primi quattro articoli, affida alle Istituzioni repubblicane, rispetto al diritto al lavoro, alla piena dignità sociale, alla effettiva eguaglianza di tutti i cittadini, che è poi l’ambito di giustizia sociale specifico del ruolo e dell’azione del Sindacato Confederale.
Sul piano dei rapporti politici, va ribadita la centralità del Parlamento, salvaguardandola da un eccessivo rafforzamento del Capo del Governo. L’esigenza di assicurare stabilità all’ Esecutivo non deve portare ad un indebolimento della funzione di garanzia del Presidente della Repubblica e alla compromissione del principio dell’ equilibrio tra i poteri, presente anche nei sistemi presidenziali di altri paesi.
La straordinaria attualità e lungimiranza della nostra Costituzione, che ci accompagna dal 1948, è rappresentata dai suoi principi e dai valori in essa contenuti, che rispecchiano l’identità del popolo italiano.
Essa è certamente il frutto della pluralità delle culture e delle opinioni politiche esistente nel momento storico in cui è stata progettata, del modo in cui sono venuti a comporsi i rapporti tra le varie istanze della società italiana, e i principi della democrazia e della coesione nazionale, su cui si basa, sono destinati a rimanere validi nel tempo.
Il mutare delle condizioni politiche, economiche e sociali può determinare l’ esigenza di una riforma e di un aggiornamento degli assetti istituzionali dello Stato (Parte II della Costituzione), senza mai comunque compromettere i valori della democrazia e della coesione nazionale contenuti nei Principi fondamentali e nella Parte I.
Di fatto, le riforme costituzionali del 1999 e del 2001, riguardanti l’elezione diretta dei Presidenti delle Giunte regionali e l’autonomia statutaria delle Regioni e delle Province autonome, hanno tentato di dare delle risposte all’ esigenza di assicurare stabilità agli Esecutivi e di ripensare in chiave “federale” la forma di Stato, esigenze già peraltro rese evidenti, a livello di legislazione ordinaria, con l’entrata in vigore della legge 142/90, delle leggi elettorali sull’elezione diretta dei Sindaci e dei Presidenti delle Province e delle leggi Bassanini sul decentramento amministrativo.
Ma riforme più complessive della Costituzione, che modificano le condizioni del patto sociale tra tutti i cittadini, devono necessariamente essere ampiamente condivise, e non possono essere decise a “colpi di maggioranza”, come è avvenuto con la riforma del Titolo V del 2001 da parte del Governo di centro sinistra e ora con la riforma della Parte II del 2005 da parte del Governo di centro destra.
Esse devono necessariamente essere ampiamente condivise e partecipate, e a questo fine sarebbe opportuno prevedere prioritariamente una riforma delle stesse procedure di revisione costituzionale (art. 138) con vincoli di maggiore garanzia nella misura del quorum per l’ approvazione.
L’obiettivo di coniugare il principio dell’ unità dello Stato con un consistente rafforzamento delle funzioni e dei poteri delle Regioni e delle autonomie locali è stata la ratio ispiratrice della Riforma del Titolo V del 2001, attualmente vigente.
Cgil, Cisl e Uil, pur condividendo l'ispirazione generale della riforma, avanzarono formalmente critiche su alcuni punti: la mancata istituzione della Camera delle Regioni quale luogo di armonizzazione tra unità ed autonomia e quale base del possibile equilibrio e della possibile cooperazione tra le varie istanze di governo del Paese; e l’ articolazione di alcune competenze tra Stato e Regioni, in particolare per quanto riguarda la legislazione concorrente, problema questo reso evidente, nella fase applicativa, dai numerosi conflitti di attribuzioni che si sono verificati.
La riforma varata nella scorsa legislatura, oggetto del prossimo referendum, introduce in questo già assai problematico contesto, la devolution.
Cgil, Cisl e Uil ritengono che l’attribuzione di competenze esclusive alle Regioni su sanità, istruzione, sicurezza, comporterà inevitabili sperequazioni territoriali nel godimento di diritti fondamentali, contraddicendo le garanzie di unitarietà del sistema che l' attuale Titolo V della Costituzione assicura, attribuendo alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la determinazione di livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.
La devolution contrasta, inoltre, con la Parte I della Costituzione, che tutela i Diritti di tutti i cittadini, specificatamente il diritto alla salute, il diritto all’ istruzione, il diritto alla sicurezza, ed anche con i Principi fondamentali, a partire dal principio di eguaglianza, formale e sostanziale, previsto dall’ articolo 3.
Contrasta quindi nettamente con il modello di federalismo cooperativo e solidale, condiviso e sostenuto da CGIL, CISL, UIL, per una forma di Stato che unisca il Paese valorizzandone le differenze, accrescendo responsabilità, efficienze ed efficacia, sostenendo sussidiarietà, istituzionale e sociale, promuovendo solidarietà, perseguendo più coesione nella giustizia.
Inoltre, sotto il profilo sindacale, la devolution può compromettere l’unitarietà del contratto nazionale per le categorie dei settori interessati dal trasferimento delle competenze esclusive alle Regioni.
L’ ulteriore problema sollevato dalla devolution è quello delle risorse necessarie al finanziamento delle competenze esclusive, stante la totale inattuazione, ad oggi, (e il sostanziale rinvio che ne fa la riforma oggetto di referendum), del modello di federalismo fiscale previsto dall’ articolo 119 della Costituzione e dei meccanismi di perequazione in esso previsti: nell’ immediato si verificherebbero gravi ripercussioni sul territorio, in quanto solo alcune Regioni (le “più ricche”) potrebbero esercitare le competenze e garantire i servizi.
Sono altri poi i punti critici della riforma, quali la incerta e macchinosa costituzione del cosiddetto Senato federale, che non dà reale voce alla rappresentanza delle Regioni e delle autonomie; il consistente appesantimento del processo di formazione delle leggi, che porterà ad un ulteriore aumento del contenzioso davanti alla Corte; e la forte politicizzazione degli organi di garanzia costituzionale, quali la suprema Corte.
Sul tema della forma di Governo, per Cgil, Cisl e Uil la stabilità degli Esecutivi è un’ esigenza inderogabile, nell’ ambito di un processo politico e istituzionale caratterizzato dal bipolarismo e dalla democrazia dell’ alternanza.
La stabilità degli Esecutivi va garantita, comunque, nell’ ambito della opzione di fondo della Repubblica parlamentare, come prevista dalla Costituzione.
Una forma di Governo che rafforzi i poteri del Presidente del Consiglio, non assicurandone nel contempo un bilanciamento con i poteri del Parlamento e con le funzioni di garanzia del Presidente della Repubblica, vede la contrarietà di Cgil, Cisl e Uil.
La stabilità dell’ Esecutivo, secondo Cgil, Cisl e Uil va comunque coniugata con l’ esigenza prioritaria di assicurare modalità di rapporto tra Governo e corpi intermedi, forze sociali, Sindacato, incentrate sul metodo del confronto e della concertazione.
Questa riforma, da abrogare con il NO nel referendum confermativo, rappresenta il culmine della progressiva messa in crisi della democrazia partecipativa nell’azione del governo nella scorsa legislatura, che in particolare per quanto riguarda il Sindacato, ha significato la rimozione della politica dei redditi, di un reale confronto sulle riforme sociali, della concertazione, nonché le difficoltà crescenti della stessa contrattazione pubblica.
La democrazia partecipativa è stata messa in crisi anche da una concezione della politica, da contrastare con forza, che pretende di esaurire la sua funzione nel mandato elettorale, nel rapporto diretto con l’ elettore, nella dialettica bipolare all’ interno delle istituzioni, fondata sui rapporti di forza e tesa a ridurre ruolo e sovranità delle assemblee elettive.
Per CGIL, CISL, UIL autonomia e partecipazione sociale non sono una semplice rivendicazione di ruolo del Sindacato, ma rispondono ad una concezione democratica della società, dei suoi rapporti con la politica e con le istituzioni, che si esprime con la vitalità del pluralismo sociale, in particolare:
· con la contrattazione tra le parti nelle materie riguardanti i rapporti sociali, le condizioni di lavoro, le diverse forme di rappresentanza, di partecipazione e di bilateralità;
· con la concertazione, rispettosa in ogni caso delle specifiche responsabilità dei partiti e delle istituzioni;
· con le diverse modalità di partecipazione all’accumulazione e al controllo, propri della democrazia economica.
Questa è la sfida che il Sindacato Confederale lancia, per correggere quelle derive individualiste e liberiste che tendono a sottrarre la componente di solidarietà sociale nei processi di cambiamento.
E’ solo in una concezione partecipativa della società e della democrazia che si gioca sia lo sviluppo democratico del Paese, sia le radici profonde dei valori, dell’ essere e dell’agire come Sindacato Confederale.
Per CGIL, CISL, UIL, pertanto, la legge sulle Modifiche alla Parte II della Costituzione va abrogata con il NO nel referendum confermativo, perché sia contrastato ogni disegno di depotenziamento della democrazia e della partecipazione, a rischio in una società sempre più complessa e in una economia globalizzata, e perché sia reso possibile e praticabile un ruolo politico forte della rappresentanza partitica e di quella sociale, dal Sindacato alle diverse organizzazioni rappresentative del tessuto sociale, senza timore di sovrapposizioni, nel pieno rispetto delle diverse prerogative e delle reciproche autonomie.
Solo con più partecipazione e con più politica è possibile affrontare i complessi problemi della crescita economica e sociale del Paese, le grandi trasformazioni nei processi della globalizzazione, riaffermando la centralità del lavoro come valore fondante della società, secondo il dettato del primo articolo della Costituzione italiana.