Il problema della “sicurezza” nei luoghi di lavoro è stato oggetto, nei mesi scorsi, di tre serate formative, nelle quali sono state affrontate alcune tematiche generali (valutazione dei rischi, gli enti bilaterali, il mobbing), con la partecipazione di alcuni esperti.
E’ intenzione della UST e dello sportello sicurezza della Cisl di Cagliari dare continuità all’attività, cercando di trasmettere quanta più informativa e consulenza possibile alle Federazioni, ma, soprattutto, ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza.
Migliorare la qualità della vita all’interno delle aziende e il livello di prevenzione degli infortuni, sviluppare la cultura della sicurezza è uno degli obiettivi che la Cisl di Cagliari si è posta.
Non possiamo dimenticare che, a fronte di una diminuzione degli infortuni sul lavoro in campo nazionale, in Sardegna e a Cagliari le cose non stanno esattamente così: basti pensare all’atroce recente infortunio mortale che ha colpito un lavoratore della compagnia portuale, a Cagliari, per comprendere quanti passi ci siano da fare nell’ambito della prevenzione, della sicurezza, della tutela della salute.
Lo sportello sicurezza ( il responsabile Sergio Melis è disponibile in sede tutti i mercoledì sera a partire dalle ore 16,00 – tel. 0703490235) nei prossimi mesi svilupperà alcune schede informative, molto agili e semplici che potranno essere un utile strumento per i RLS in azienda. L’argomento della prima scheda, che alleghiamo, verte sulla questione “indumenti da lavoro e dispositivi di protezione individuale” e sarà oggetto di una ricerca nelle aziende a partire dal prossimo mese di settembre, finalizzata alla costruzione di una mappa delle situazioni e ad una sorta di piattaforma a livello territoriale.
La segreteria
SCHEDA A CURA DI SERGIO MELIS
INDUMENTI DI LAVORO E DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE.
Il datore di lavoro deve individuare i rischi presenti nella sua azienda. Una volta individuati, attraverso la valutazione dei rischi, e stabilito che non si possono eliminare, il datore di lavoro deve mettere a disposizione dei propri dipendenti, e farli usare, i dispositivi di protezione individuali (DPI).
E’ intuitivo che, quando un lavoratore utilizza l’elmetto, sta usando un DPI. Ma a volte la funzione DPI viene svolta da un camice o da una tuta di lavoro ( e questo è meno evidente).
Mentre il più delle volte il camice e la tuta sono solo indumenti di lavoro, cioè sono “elemento distintivo di appartenenza aziendale” o svolgono la “mera preservazione degli abiti civili dalla ordinaria usura connessa all’espletamento della attività lavorativa” in diversi altri casi, la tuta e il camice sono veri DPI.
Il camice del medico in ospedale o di un tecnico in un laboratorio di analisi, la tuta dell’operatore di un impianto dove vengono trattati agenti chimici, cancerogeni o biologici o prodotti corrosovi, sono DPI.. Sono DPI le tute degli operatori ecologici che movimentano i cassonetti della nettezza urbana, così come i camici e le tute dei lavoratori delle imprese di pulizia che operano nelle corsie degli ospedali.
Sin qui, si potrebbe dire, non ci sono questioni in discussione.
La discussione potrebbe nascere nel momento in cui i lavoratori che usano questo tipo di DPI pretendessero, per mantenere le condizioni igieniche e l’efficienza dei DPI, di stabilire la periodicità con cui il datore di lavoro debba provvedere alla loro pulizia.
La prima obiezione, fatta però solo da alcuni, sarebbe che tutti gli indumenti di lavoro del personale “sanitario” sono già trattati in modo adeguato in strutture che hanno i requisiti tecnici professionali sufficienti. Un'altra obiezione potrebbe essere che questa problematica è stata affrontata con la stesura di accordi sindacali, dove si è stabilito che l’obbligo del lavaggio del vestiario fornito dall’azienda è a carico dei lavoratori e, quindi, la soluzione è già stata definita contrattualmente a monte.
Queste obiezioni sono certamente comprensibili e descrivono una realtà lavorativa, anche se questa rappresenta una minima parte del mondo del lavoro.
La risposta che deve essere data riguarda la totalità dei lavoratori che operano in ambienti insalubri e hanno come abbigliamento lavorativo i DPI, cioè indumenti intrisi di sostanze nocive e tossiche che vengono sottoposti a lavaggio nelle lavatrici delle proprie abitazioni, magari mischiati con gli indumenti dei propri famigliari.
La domanda a questo punto è: il “sindacato” ha, una “mappa” delle lavorazioni insalubri, presenti nel proprio territorio e delle industrie a rischio specifico e rilevante?
L’impegno del sindacato potrebbe essere quello di partire da questa conoscenza per affrontare tale problema con le associazioni imprenditoriali e instaurare con le autorità competenti un rapporto collaborativo per dare risposte omogenee a questo tipo di problematiche.
Nota.
Questi obblighi del datore di lavoro sono previsti dalle norme in vigore:
-D. Lgs 626/94 artt. 40-46; art. 3 c.1r; art. 4 c.2b, c.5d, f; art. 5 c.2b, c, d, e; art. 6 c.l; art. 40 c .l, c.2; art. 43 c. 5b; art. 46 c. l; art. 63 c.4e; art. 65 c. l c; art. 66 c. l d; art. 67 c.2; art. 68 c. l b; art. 80 c. l c; art. 85 c. ld a.
-Linee guida Coordinamento tecnico per la prevenzione degli assessorati alla sanità delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano: Linee guida sul titolo IV del D. Lgs 626/94 (uso di dispositivi di protezione individuale);
-circolare 29 aprile 1998 n. 34 del Ministero del lavoro (Indumenti di lavoro e dispositivi di protezione individuale);
-D.M. 2 maggio 2001 – Criteri per l’individuazione e l’uso dei dispositivi di protezione individuale (DPI).
A cura di Sergio Melis
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