Spesso nella nostra azione sindacale in difesa del nostro sistema produttivo industriale, l’opinione pubblica e i non addetti ai lavori, stentano a capirci e si fanno delle domande, tra cui la più ricorrente è la seguente:
Perché si difende ad oltranza la chimica in Sardegna, dichiarata da molti come improduttiva e antieconomica?
Purtroppo scontiamo ritardi sulle politiche di programmazione industriale che si trascinano da decenni, e ancora oggi non si intravede nessun tipo di miglioramento.
Alcune criticità erano mascherate o addirittura nascoste nel periodo delle partecipazioni statali che gestivano e controllavano quasi tutto l’apparato produttivo Nazionale, esclusi alcuni comparti come quello dell’auto, dove anche qui ci sarebbe da discutere a lungo, per quanto concerne gli aiuti di stato.
Le partecipazioni statali avevano il compito di gestire e finanziare le attività produttive sicuramente non con logiche di mercato, ma con la garanzia statale del ripianamento delle perdite.
Spesso queste attività sono state ricettacoli per boiardi di stato, magari silurati da recenti elezioni politiche.
Insomma, un modo molto allegro e superficiale di gestire l’impresa.
Appare evidente anche per le persone più incompetenti che questo tiipo di sistema non faceva emergere tutte le criticità e i bisogni infrastrutturali, che nel momento dell’assenza dei contributi dello stato sono emerse in tutta la loro drammaticità.
In Sardegna e nel territorio Cagliaritano se ne vedono gli effetti:
Alti costi dell’Energia/Reti di collegamento Fluidi /continuità territoriale delle merci/queste sono le più evidenti diseconomie.
La totale mancanza di investimenti sulla ricerca e sperimentazione di nuovi prodotti ha fatto svanire per intero il sogno del Polo per la chimica fine e Farmaceutica.
Fare impresa nel Nord Italia, per via del Metano, che noi non abbiamo, e sicuramente più conveniente, ma quando parliamo di chimica non dobbiamo parlare solo a livello nazionale , ci dobbiamo per forza affacciare in tutta Europa e nel Mondo, basti pensare che in Francia, per via del Nucleare, le imprese pagano l’energia a circa 12 lire(6 centesimi di €uro al Kw contro le nostre 120 lire (60 centesimi di €uro).
La questione energetica, problema principe per qualsiasi modello di sviluppo industriale, rimane ancora irrisolto e la posizione della Giunta Regionale che non ha ancora chiaro dove poter puntare, se sul carbone, sull’idroelettrico, sull’eolico, sul petrolio, oppure sull’idrogeno ci allontana ancora di più dalla speranza di avere un industria autogestita.
Nel frattempo basterebbe anche l’abbattimento delle tariffe elettriche, in attesa di un sorteggio del modello energetico.
E’ curioso apprendere che stati come il Giappone abbiano fatto accordi internazionali finalizzati a coprire i fabbisogni energetici per 100 anni, l’Italia, ma in particolare la Sardegna, non sa cosa deve fare domani!
E’ chiaro che a queste condizioni diventa molto difficile essere competitivi.
Quindi, a seguito del disimpegno da parte dell’Eni, Ente Nazionale Idrocarburi, che riportato la sua vocazione industriale solo sul versante del Petrolio, ha attivato una politica di dismissioni e cessioni, con un ridimensionamento del proprio personale , in circa 20 anni, da 55.000 addetti agli attuali 11.000 concentrati in diverse divisioni (nella Chimica solo 6.000), altro che Alitalia, si è registrata una vera e propria strage, se pur in modo graduale.
I ridimensionamenti sono stati sempre motivati dallo spirito primario di fare efficienza e mantenere in piedi la chimica produttiva e redditiva.
Questo meccanismo del: “dividi et impera” ha generato molte divisioni fra diverse regioni d’Italia, ma anche fra territori nella nostra isola, “Mors tua vita mea”.
Il meccanismo è stato capito un po’ in ritardo e dopo aver chiuso importanti realtà come quella di Villacidro, Ottana e il forte ridimensionamento di Macchiareddu e Portotorres.
Il vero obiettivo di Eni era ed è uscire totalmente dalla chimica, possibilmente senza lasciarne nessuna traccia, cosa difficile anche per le palesi responsabilità sul versante delle bonifiche ambientali, magari per continuare ad occupare le fette di mercato italiane con attività parallele provenienti dall’estero, sempre a partecipazione Eni.
Da ciò si desume che la chimica non è in crisi e tantomeno fuori mercato e non redditiva, il fatto che l’Eni preferisca chiudere anziché vendere o cedere, la dice lunga sulla sua buona fede.
Siamo ancora in attesa di capire se lo stabilimento di Macchiareddu sarà ceduto alla EVC, se questa operazione non fosse definita si sancirebbe la fine dell’area chimica di Assemini.
Questo è stato uno dei motivi scatenanti per la battaglia che il sindacato dei Chimici e tutti i lavoratori della Sardegna hanno impostato, per rivendicare l’accordo di programma della Chimica Sarda, in primo piano nella piattaforma rivendicativa di CGIL, CISL e UIL della Sardegna in queste ultime settimane.
Purtroppo, nonostante questo importante accordo sia stato siglato a Roma, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri il 14 Luglio 2003, e che non riveste fondamentale importanza solo per il settore chimico, ma bensì per tutto il sistema industriale, inteso come metalmeccanico, edile, elettrostrumentale, trasporti e servizi, con un indotto di migliaia di lavoratori diretti e indiretti, ad oggi non si intravede una seria e reale volontà, a parte numerosissime, e a volte inutili riunioni, di volerlo applicare.
Il tutto deve essere realizzato non più tardi del 31 Dicembre 2004, pena la cancellazione totale del sito produttivo di Aseemini-Macchiaraddu.
La contraddizione principale e che non esiste una sensibilità e una competenza della nostra classe politica, attuale e precedente per fronteggiare questo tipo di problemi.
La vera questione e che la politica non dovrebbe nemmeno occuparsene, ma dovrebbe dotarsi di strutture competenti che siano in grado di attuare politiche di programmazione industriale su tutti i segmenti produttivi della nostra isola, partendo dalla creazione di uno sportello unico per le imprese industriali, che coordini i numerosi enti tipo: Sfirs, Consorzio 21, Casic, Bic Sardegna, Sigma invest etc, etc…….
La battaglia deve proseguire per il rispetto degli accordi e per promuovere seriamente un modello di sviluppo ambizioso che salvaguardi e sviluppi la nostra industria con un forte impegno sul versante del rispetto ambientale, perché piaccia o no , l’industria isolana rappresenta ancora il 15% del PIL .
Cagliari, 22 Ottobre 2004
Mimmo Contu
Segretario Generale