I lavori dell'assemblea unitaria sulla sicurezza, alla quale hanno partecipato oltre 250 delegati della sicurezza di CGIL CISL UIL, sono stati aperti dalla relazione introduttiva del segretario generale della Cisl cagliaritana, Fabrizio Carta.
Di seguito riportiamo il testo. Nei prossimi giorni pubblicheremo il testo degli altri interventi.
Assemblea Unitaria dei rappresentanti della sicurezza
Hotel Mediterraneo, 30 Maggio 2007 ore 9,00
Relazione Introduttiva
Fabrizio Carta Cisl Cagliari
L’iniziativa unitaria di oggi è stata organizzata da CGIL CISL e UIL di Cagliari non solamente per commemorare qualcuno, né sull’onda della sola emozione, pur vissuta realmente, a fronte dei diversi incidenti mortali, verificatisi di recente nel nostro territorio.
Non vuole essere neanche uno dei tanti Convegni, pur meritevoli e lodevoli (beninteso), dove ognuno interviene, svolge il suo bravo compito e ricorda quello che fa per la sicurezza, snocciolando magari dati statistici per dimostrare la propria tesi.
Il sindacato confederale cagliaritano vuole percorrere una strada, lunga, complessa, sicuramente difficile, per affrontare seriamente, in modo concreto e con costanza, una problematica drammatica quale quella degli infortuni sul lavoro.
In questa sede non ci vogliono essere condanne, ma non ci possono essere neanche auto celebrazioni, né auto assoluzioni, perché quando muore anche un solo lavoratore ciò significa che qualcosa non è stato fatto, significa che qualche omissione è avvenuta.
Mi hanno insegnato che i peccati capitali sono quattro (pensieri, parole, opere e omissioni): ebbene il peggiore di tutti è proprio l’omissione.
E’ compito di una società civile e moderna, è compito di un Sindacato responsabile non chiudere gli occhi, non minimizzare quanto accade ed operare per rimuovere le cause che determinano gli infortuni sul lavoro.
Noi non vogliamo fare solo gli accusatori, perché riteniamo che ognuno ha la sua parte di responsabilità, (né noi ne siamo esenti) ma ci proponiamo di denunciare l’importanza della questione “Sicurezza” in tutte le sue sfaccettature” e in ogni occasione sia necessario.
Lo dobbiamo ai lavoratori morti come martiri sul lavoro, lo dobbiamo alla società perché i costi derivanti dagli infortuni sul lavoro sono molto più elevati per i lavoratori, per le loro famiglie, ma anche per la società nel suo insieme, di quelli che si dovrebbero sostenere per dare ambienti di lavoro vivibili e per garantire prevenzione e sicurezza sul lavoro.
Noi vogliamo fare di questa iniziativa, sulla falsariga dell’incontro nazionale che si tiene ogni anno, un appuntamento ricorrente. Oggi abbiamo chiamato a raccolta i nostri delegati per la sicurezza, le categorie, i rappresentanti sindacali aziendali di RSU o di RSA, per sensibilizzare ancora di più su un argomento che non può essere sottovalutato, ma necessita di un impegno straordinario di tutti.
Sicuramente noi come lavoratori dobbiamo fare la nostra parte, che non è sufficiente, perché le cause degli infortuni non sono certo dei lavoratori, ma sono la conseguenza di azioni che non dipendono solo dal lavoratore ma sono di contesto generale e anche aziendale.
Vorremmo che da questa assemblea nascesse una piattaforma condivisa e che essa costituisse la carta fondante per un impegno forte all’interno del mondo del lavoro. Sarà una piattaforma da far applicare nelle aziende e nel territorio e poi da verificare e aggiornare periodicamente tutti, insieme.
Non dobbiamo correre il rischio di fare solo della retorica: nelle ultime settimane sono intervenute sull’argomento tante Istituzioni, a partire dal Capo dello Stato. Questo è un fatto positivo, perché dimostra che, alle più alte cariche dello Stato, sono state elette Persone con grande sensibilità sociale e che hanno una particolare attenzione per i problemi del lavoro e per creare le condizioni per un buon lavoro, un lavoro di qualità. Di questo siamo grati al Presidente della Repubblica.
Dai discorsi, occorre però passare ai fatti, alle cose concrete, anche perché, in questi giorni, è emersa con forza, sulla stampa, una crisi di fiducia dei cittadini nei confronti delle Istituzioni, partiti e sindacati compresi. Forse sono sondaggi gonfiati, ma certo è opportuno riflettere e lavorare, per recuperare i consensi che abbiamo perduto: il terreno della sicurezza è un problema sentito, concreto sul quale possiamo dare risposte serie.
Situazione socio economica del cagliaritano.
Sarebbe riduttivo affrontare la tematica della Sicurezza senza fare un accenno alla situazione generale della provincia di Cagliari, perché il tema è collegato con i problemi dell’occupazione e della disoccupazione, perché essi incidono sullo sviluppo e sulla stessa qualità del lavoro.
Secondo i dati più recenti, nella provincia di Cagliari (quella vecchia perché ancora non siamo riusciti ad avere i dati disaggregati), ci sono 36000 persone in cerca di occupazione – dei quali oltre la metà donne – con una percentuale di tasso di disoccupazione pari al 11,1%, contro il 10,8% regionale e il 6,8% nazionale.
Il dato sulla disoccupazione è superiore alla media regionale e ci colloca al penultimo posto tra le vecchie province sarde. Il tasso di disoccupazione femminile si assesta al 15,2% (dato regionale 14,6% nazionale 8,8%.)
Anche per il tasso di occupazione per le persone tra 15 e 64 anni, siamo ben al di sotto delle medie nazionali: il tasso di occupazione nel 2006 per la provincia di Cagliari è del 51,8% contro il 58,4% nazionale e il 52,3% regionale. Il tasso di occupazione femminile registra risultati più bassi ancora rispetto alle medie regionali e nazionali (37,9% a Cagliari, 38,2% in Sardegna, 46,3% in Italia.)
Analogo discorso per il tasso di attività.
La città di Cagliari è una delle città a maggiore rischio di lavoro nero (si calcola al 20% - 25% il tasso di lavoro nero in città), le dimensioni delle aziende sono abbastanza piccole e si calcola che siano iscritti al fondo lavoratori parasubordinati circa 50000 persone nella nostra Provincia ( i cosiddetti collaboratori). Con le dovute cautele, si tratta di numeri ragguardevoli.
I fenomeni di povertà relativa e assoluta sono nella media regionale, ma sono acuiti dal fatto che qui si vive in un’area metropolitana dove le basse pensioni e i bassi salari penalizzano ancora di più i cittadini e rendono il tenore di vita ancora più debole.
La realtà che ci troviamo di fronte è questa:.
Un mercato del lavoro debole, frammentato, con aziende di dimensioni ridotte con scarsa propensione al consorzio e ala cooperazione, fenomeni diffusi di disoccupazione, soprattutto nelle fasce giovanili e tra le donne, difficoltà di ricollocamento al lavoro, soprattutto per i lavoratori più anziani, che perdono il posto di lavoro, diffusione patologica del lavoro atipico.
Insomma, accanto ad una possibile situazione di rilancio dell’economia in alcuni settori (vedi la portualità, il turismo, il commercio, i servizi, la società della tecnologia, una parte dell’industria), assistiamo a crisi aziendali, specie nel settore industriale, ma non solo.
Basti pensare alla crisi della Mineraria Silius, a quella dell’UNILEVER, alla crisi di alcuni settori dei servizi, o alla continua e incessante problematica degli appalti delle pulizie, delle mense, ma in genere di tutti i servizi in appalto.
Tutto questo crea precarietà, non bilanciata dall’esistenza di un adeguato sistema di ammortizzatori sociali o da processi di formazione continua e professionale in grado di aiutare alla riconversione lavorativa chi perde il lavoro.
Né aiuta a migliorare la tardiva applicazione, in Sardegna, della legge di riforma dei servizi all’impiego né la prima applicazione della legge regionale 20 sulle politiche attive del lavoro.
Questo scenario non aiuta di certo a prevenire gli infortuni sul lavoro.
Si tratta di fenomeni che incidono tutti in maniera negativa: il lavoro nero o sommerso, che magari in altre regioni del centro Nord è un modo per sfuggire alla tassazione, in Sardegna e nella nostra Provincia è spesso dettato da necessità: i bassi salari, le pensioni ridotte (ben il 72% delle pensioni è al di sotto dei 900 euro mensili) favoriscono il ricorso al lavoro nero o agli straordinari e quindi alla dilatazione degli orari che poi inducono una maggiore probabilità di infortuni.
Allo stesso modo, gli alti tassi di disoccupazione, creano un mercato di braccia disponibili a basso prezzo. Ma ciò vale anche per i processi di immigrazione che, se non ben governati, costituiscono un fattore che favorisce lavoro nero o sommerso.
Occorre quindi agire a fondo sulle cause che determinano le condizioni per un lavoro insicuro.
Provvedimenti del Governo Nazionale
I provvedimenti che il Governo nazionale sta mettendo in campo, in alcuni casi, sono positivi, soprattutto quando raccolgono le indicazioni che il sindacato, unitariamente, sta portando avanti da anni.
Basti pensare alla lotta al lavoro sommerso e al tentativo lodevole di ridurre l’area delle collaborazioni. Si parla giustamente di fenomeno diffuso nei call center, tanto numerosi nella nostra provincia che ha quasi un record nazionale, se non assoluto almeno percentuale come presenze di questo tipo di aziende. Si parla di 3500 lavoratori in Sardegna (almeno il 70% a Cagliari, dei quali il 50% sono collaboratori.
Le collaborazioni sono diffuse, però, anche in altri settori e le norme dell’emersione della Legge Finanziaria si applicano a tutti i settori merceologici.
Si pensi all’estensione del documento unico di regolarità contributiva (inventato letteralmente dal sindacato in occasione del terremoto dell’Umbria e alla conseguente ricostruzione), dapprima applicato dalla legge 30 alle imprese edili e poi esteso a tutti settori.
All’aumento della contribuzione previdenziale sulle collaborazioni che dovrebbe ridurre il gap tra lavoro parasubordinato e lavoro subordinato, riducendo la convenienza di ricorrere al primo al solo scopo di risparmiare. O ancora all’obbligo per le aziende di comunicare l’assunzione il giorno precedente l’avviamento al lavoro, per evitare il fenomeno dell’infortunio del primo giorno di lavoro!!!!
Qualche risultato c’è, anche se non entusiasmante, ma ancora c’è molto da fare da parte sindacale, ma anche da parte degli organi Ispettivi che devono mettere un impegno straordinario, altrimenti c’è il rischio che le buone leggi siano vanificate dall’applicazione in concreto: e non sarebbe la prima volta che questo accade. Spesso, a fronte di una buona legislazione, non abbiamo riscontri reali perché non abbiamo gli uffici pubblici che funzionano (e non certo a causa dei lavoratori del pubblico impiego, ma della cattiva organizzazione o delle scarse risorse messe a disposizione dello Stato).
Alcuni dati sugli infortuni
Secondo qualcuno, gli infortuni sul lavoro stanno diminuendo: noi non vogliamo parlare troppo di dati statistici. Tuttavia, da alcune tabelle di fonte INAIL, rileviamo che gli infortuni, nel periodo 2002 – 2005, nella nostra provincia sono in aumento:
Se è vero che in agricoltura si registra una lieve diminuzione pari a - 1,75%, nell’industria e servizi vi è un aumento del 5,4% e nel settore pubblico un aumento pari al 22%. In totale vi sono stati nel 2002, 8421 infortuni sul lavoro contro 8876 incidenti sul lavoro nel 2005, con un aumento superiore al 5%.. Tutto ciò mentre i dati nazionali indicano una diminuzione e questo deve far riflettere. Non abbiamo i dati ufficiali del 2006, a livello provinciale, ma in Sardegna si parla di oltre 18000 infortuni sul lavoro contro i poco più di 18000 nel 2005. Tutto ciò mentre i morti sul lavoro, sempre a Cagliari, nel 2005 erano stati 11 e nel 2006, secondo dati ufficiosi, sono stati 13.
C’è quindi una specificità tutta sarda e anche cagliaritana che deve far riflettere.
E su questo è bene che riflettano le Istituzioni sarde: dalla Regione, alle ASL, dagli uffici provinciali del lavoro, all’INPS, all’INAIL, alle Prefetture. E’ probabile che occorrano interventi specifici per la Sardegna,
Ma a corollario di questi dati, alcune osservazioni di carattere nazionale:
Il Presidente dell’Inail nella relazione per l’anno 2005, nel fornire un panorama sull’andamento infortunistico del nostro Paese, affermava che “ nel cosiddetto lavoro atipico, a destare preoccupazione sotto il profilo infortunistico è soprattutto il lavoro interinale (oggi chiamato somministrato)”.
Operate le necessarie parametrazioni sulla base dell’unità di misura di lavoro annuo, utilizzate dall’istituto, si è riscontrato un tasso di frequenza pari a 15 infortuni denunciati ogni 1000 addetti/anno e cio è assolutamente in linea con le attività tecnico –impiegatizie del settore dei servizi alle imprese.
Totalmente differente invece è la situazione per i lavoratori interinali che registrano una percentuale di infortuni pari al doppio rispetto al settore Industria e servizi.
Certo, a fronte dei numeri assoluti (927.000 circa) i numeri relativi agli infortuni dei lavoratori parasubordinati 13.000 e a quelli interinali pari a 7.000 sono poca cosa, ma l’Inail ammonisce che questi numeri non sono da sottovalutare.
Una delle cause potrebbe essere l’insufficiente formazione, specie quella di tipo congiunto, e professionalità.
Questa tesi è un cavallo di battaglia del sindacato. La formazione, l’informazione, specialmente per quanto riguarda la sicurezza e gli agenti di rischio, dovrebbero essere propedeutiche all’avvio del lavoratore nel luogo di lavoro.
Purtroppo questo non avviene. Tra le cause determinanti l’infortunio al primo posto c’è l’attività del lavoratore.
Ciò non significa che il lavoratore sia responsabile del proprio infortunio, ma solo che il sistema aziendale non lo ha messo in condizione di tutelarsi.
A supporto di questa tesi emergono, sempre da fonte Inail, i dati degli infortuni mortali e di elevata gravità emersi da un indagine Nazionale.
Più dell’85% degli infortuni mortali riguarda i lavoratori delle micro imprese(fino a 9 addetti).
L’11% degli infortuni mortali si verifica nei primi 7 giorni di lavoro( 16% nel settore delle costruzioni) .
In varie occasioni è stato posto il tema dell’organizzazione del lavoro, dei ritmi di lavoro, della costrittività organizzativa, della formazione istituzionalizzata, dei controlli preventivi e della vigilanza.
L’INAIL ribadisce che, per quanto riguarda l’attività di vigilanza si è provveduto alla programmazione delle ispezioni in un’ottica di “esemplarità” nei confronti delle aziende e dei settori ad alto rischio di illegalità.
Bisogna fare di più e meglio.
Nei controlli effettuati nelle imprese che hanno delocalizzato produzioni o hanno proceduto a dismissioni di rami d’azienda sono state individuate più di 21.000 aziende irregolari, pari al 75% di quelle controllate.
In Sardegna e a Cagliari in particolare queste situazioni sono marginali, ma gli stessi risultati, in termini proporzionali sarebbero sicuramente realizzati se l’attività di vigilanza venisse svolta nelle imprese che hanno licenziato propri dipendenti in modo scientifico, utilizzando la giusta causa, oppure le dimissioni volontarie.
Sentire gli RLS
Riteniamo che su questo tema, sarebbe utile se non indispensabile che i vari ispettori, sia del Ministero del lavoro che dell’Inps e dell’Inail, quando vanno nelle aziende per le ispezioni programmate o no, sentano obbligatoriamente anche gli RLS e le RSU e non solo se lo ritengono necessario come per ultimo all’art. 12 del codice di comportamento.
Purtroppo a noi risulta che questo ancora oggi praticamente non avvenga, anche se queste figure sono obbligate sia per legge che per le circolari emanate dal Ministero di sentire i rappresentanti dei lavoratori e di comunicare loro i risultati della ispezione.
Le politiche generali
La lotta contro il sommerso, contro il lavoro nero, contro lo sfruttamento, il battersi per una società che non sia basata solo sul profitto e sul consumismo sfrenato deve essere alla base per costruire una società più giusta e più rispettosa dell’uomo e della donna che lavorano ed è alla base per la prevenzione e per la sicurezza sul lavoro.
Come possiamo pensare di prevenire gli infortuni sul lavoro se in Italia, dopo le riforme delle pensioni degli anni scorsi che hanno portato l’età della pensione di vecchiaia a 65 anni per l’uomo, si parla ancora di aumentare indiscriminatamente l’età ?
Sull’argomento, certo, non ci possono essere tabù, perché, è vero, l’aspettativa di vita (per fortuna) aumenta, ma non possiamo accettare che non sia fatta nessuna distinzione tra le tipologie di lavoro.
Un uomo, o una donna, di 65 anni possono salire su un ponteggio o su una gru del porto o possono fare qualunque altro lavoro pesante o pericoloso, senza rischiare di essere di nocumento a sé, innanzitutto, ma anche agli altri?
La risposta è evidente. Alcune situazioni di fatto costringono, di fatto, lavoratori o per scarso reddito o per mancanza di contributi sufficienti a raggiungere i requisiti pensionistici, a lavorare in luoghi di lavoro pericolosi, anche al di sopra di una certa soglia di età e a rischiare la loro vita.
Quando leggo che sarebbe giusto lavorare più a lungo, spesso penso a quei lavoratori che, quando hanno raggiunto i 45 anni, sono considerati dalla propria azienda una scarpa vecchia. Quando sulla questione pensioni, si vuole dare una risposta univoca per tutti i lavoratori, mi viene alla mente la frase di Don Milani che dice: “Non c'è nulla che sia ingiusto quanto far le parti uguali fra disuguali"perché certi lavori non si possono fare ad una certa età.
Una conferma di tutto ciò viene dalle statistiche: la morte è sempre un evento devastante, ed ancor più nel caso dei giovani. Ma dall’analisi dei dati degli infortuni mortali sul lavoro, non deve passare inosservato che sono le età più avanzate ad essere fortemente colpite. Età avanzate che, in un costante progressivo aumento, sono state colpite sempre di più. (Nel 2006, sono stati 66 i casi (18 casi in più dell’anno precedente) di decesso di lavoratori/trici che avevano superato i 65 anni di età, e 333 quelli di età compresa tra i 50 e i 64 anni.)
Ecco che il problema della sicurezza, dunque, è intrecciato con le politiche del lavoro, con le politiche dello sviluppo, con le politiche previdenziali e non può essere affrontato in maniera avulsa dal contesto.
In occasione di un recente seminario sulla sicurezza e sul mobbing, un esperto (Fernando Cecchini) ha affermato che lo stress sul lavoro e il mobbing derivano in larga parte dall’allungamento dei tempi per la pensione e dalla precarietà crescente e che queste condizioni soggettive sono quelle che rendono molto più probabile un infortunio sul lavoro.
Se questa affermazione è vera, non ci possiamo stupire di quello che accade. Perché anche se fosse vero che la precarietà non è aumentata a livello statistico ( ma sappiamo come vengono utilizzati spesso gli studi di questo genere), è la sensazione di insicurezza che si diffonde sempre di più che incide fortemente su un fenomeno che le leggi approvate e la diffusione della tecnologia avrebbero dovuto ridurre ai minimi termini.
Sviluppo che rispetti la persona
Il Sindacato ritiene importante lo sviluppo socio economico della Provincia di Cagliari. Noi ci impegniamo in ogni tavolo che ci viene proposto: si sprecano i piani strategici (nazionale, regionale, provinciale, intercomunale, comunale, quello delle ASL, i piani regolatori del Porto e quant’altro).
Senz’altro la programmazione è necessaria, lo sviluppo è obbligatorio in una società in continua evoluzione, ma non dobbiamo dimenticare mai che siamo un sindacato che per prima cosa deve avere riguardo all’uomo, alla sua integrità e che non possiamo accettare i fenomeni di sfruttamento che oggi, sempre di più, appaiono all’orizzonte.
Vogliamo uno sviluppo di qualità, un’occupazione buona, una sicurezza e una prevenzione della salute per i lavoratori e per i consumatori e, in genere, per i cittadini.
Mentre è all’ordine del giorno lo sviluppo del Porto di Cagliari, nel frattempo, in pochi mesi sono morti due lavoratori.
E’ quindi determinante agire sulla cultura della sicurezza e su quella della legalità perché le due cose vanno di pari passo.
Ma dobbiamo impegnarci non solo nei settori nei quali, purtroppo, le conseguenze degli infortuni sono più visibili (come il settore industriale o, in genere, nei settori produttivi e nei trasporti) ma anche nel terziario, nella stessa pubblica amministrazione, vi sono problemi di sicurezza e di tutela della salute o, per esempio, pensiamo al fenomeno delle rapine alle banche o alle poste o in alcuni supermercati che, anche in questi casi, a volte conducono a situazioni di stress e, in qualche caso, ad eventi criminosi a danno degli addetti alla vigilanza o ai dipendenti degli istituti di credito o delle poste o degli stessi commercianti.
Ma per tornare al discorso più generale, è necessario reagire al pericolo di assuefazione e riportare in primo piano, a partire dai luoghi di lavoro, il tema della sicurezza attraverso la sensibilizzazione costante.
A partire dalle scuole: si potrebbe rilanciare una serie di incontri nelle scuole superiori, magari ad indirizzo tecnico, o nelle università per creare quella cultura della sicurezza necessaria.
Anche le aziende devono porsi il problema di come mai il lavoro è insicuro, perché mette in difficoltà le vite umane.
La formazione dei lavoratori, dei dirigenti ed in particolare degli RLS e delle imprese è la strada giusta per combattere questo tipo di fenomeno.
Occorre rivedere le norme per premiare le imprese virtuose con meccanismi più forti e risolvere il problema degli appalti perché, ormai è chiaro a molti, e noi lo sosteniamo da tempo, che i ribassi sulle basi d’asta compromettono la sicurezza. E’ importante il ruolo del Sindacato che deve puntare sulla contrattazione, ancor più sul tema della sicurezza. Valutazione dei rischi, formazione e informazione dei lavoratori ma anche delle aziende, registro degli infortuni, applicazione della legge 626/94 anche al lavoro somministrato e al lavoro atipico in genere, sono gli snodi dell’intervento sindacale.
Passi in avanti, nella legislazione, devono essere compiuti sul piano degli appalti: mentre per il lavoro somministrato (interinale) vi è un’equiparazione di trattamento economico e normativo, nell’appalto ancora non si è giunti a questo risultato. Per questo ci vuole un codice degli appalti privati e pubblici.
Pensiamo che alcuni incidenti mortali sul lavoro sono avvenuti in zone industriali, quale quella di Sarroch, nelle quali vi è sicuramente un impegno notevole per la prevenzione e per la sicurezza. Si tratta di una zona dove la cultura della sicurezza dovrebbe essere elevata, e nella quale non si lesinano gli investimenti in questo campo.
Ebbene, se l’infortunio mortale è successo in questo sito o, di recente, al Porto Canale, domandiamoci che pericoli si corrono dove non ci sono questi investimenti o dove la sicurezza non viene programmata e curata nei minimi particolari.
La sicurezza non è mai sufficiente, le procedure vanno applicate anche ad apparente svantaggio della produttività e della redditività a tutti i costi. In realtà il rispetto delle misure di sicurezza costituisce fattore di qualità e, alla lunga, anche un risparmio collettivo.
Conclusioni
Abbiamo preparato una piattaforma sulla sicurezza. Vi è stato consegnata e brevemente la riassumo:
Sono necessari alcuni interventi, di tipo culturale, di promozione della sicurezza e della prevenzione della salute che richiedono, per avere risultati, dei tempi lunghi.
Vi sono alcune rivendicazioni di carattere generale sulle politiche del lavoro, sul modello di società che vogliamo costruire.
Ci sono altri interventi congiunti che noi faremo insieme alle associazioni degli industriali, a quelle delle piccole e medie, a quelle dell’artigianato e vi è il rilancio del sistema degli enti bilaterali.
Bisogna indirizzare le risorse dell’INAIL verso questi obiettivi, costruendo anche momenti di premialità per le aziende virtuose, con riferimento particolare alle piccole e medie imprese.
Ma vi sono due cose altrettanto importanti:
E’ necessario un impegno formidabile delle strutture sindacali a tutti i livelli per rendere possibile l’attività dei delegati per la sicurezza che non devono temere minacce o ritorsioni da nessuno se svolgono il loro mestiere che è quello di conoscere le normative, di essere formati ma anche di far rilevare alle aziende e ai lavoratori stessi quello che non va bene. Perché la loro azione è mirata all’interesse comune. L’azione sindacale deve essere indirizzata a conoscere in quante aziende non esiste il rappresentante della sicurezza, quale formazione viene data e se esiste attenzione sul piano delle certificazioni dei mezzi e dei materiali.
Ma dobbiamo pretendere, e lo chiediamo con forza alle autorità preposte oggi presenti, un’azione di controllo, di verifica e di deterrenza nei confronti dei comportamenti scorretti delle aziende nel campo della legalità e della sicurezza, perché se non c’è almeno il “fumo” di un intervento coattivo, in caso di inadempienze, non vi potrà mai essere l’affermazione della cultura della sicurezza. Tutto ciò senza persecuzioni, ma anche senza indulgenze, nell’interesse comune dei lavoratori e delle aziende serie che rispettano le leggi.