06/07/2007
Assemblea organizzativa Cisl Cagliari: la relazione introduttiva.
Sviluppo, Partecipazione, Pari opportunità, Giustizia Sociale

Relazione Segreteria UST/CISL Cagliari
Hotel Setar 5 Luglio 2007
Relatore: Fabrizio Carta
Premessa

L’assemblea organizzativa costituisce un importante appuntamento per la nostra organizzazione ed è utile per analizzare la situazione che i lavoratori, i pensionati, i disoccupati vivono in questo momento. La relazione toccherà perciò i temi nazionali, quelli sardi e delle nostre due province, ma poiché l’assemblea organizzativa si pone a metà di un mandato congressuale ( iniziato il 1° aprile del 2005, quasi un pesce d’aprile), è anche un tagliando che la segreteria e l’intera struttura territoriale deve fare al cospetto degli organismi, democraticamente eletti, dei delegati e dei rappresentanti delle associazioni, degli enti e dei coordinamenti.
A poco varrebbe un’analisi, magari accurata, se non riuscissimo a mettere in relazione i grandi mutamenti che avvengono, a velocità rapidissima, nel mondo del lavoro e nella società, con i parametri della nostra organizzazione.
Certo, è nostro compito analizzare la realtà socio economica del territorio, indagare sui problemi vissuti dalla nostra gente, identificare le responsabilità politiche e sociali del malessere, ma sarebbe riduttivo non esaminare in maniera anche critica il versante interno non per una censura fine a se stessa, ma per trovare all’interno delle nostre radici le motivazioni per crescere, per essere sempre più rispondenti ai bisogni vecchi e nuovi.
Dobbiamo essere consapevoli e anche orgogliosi del tragitto che abbiamo compiuto: grandi sono le conquiste che il sindacato e la Cisl hanno raggiunto per gli iscritti, per i lavoratori, per i pensionati, ma occorre tarare sempre meglio la macchina organizzativa e quindi correggere quel che non va bene e rendere più incisivo il nostro ruolo nella società italiana e sarda.
D’altronde è questo l’obiettivo dell’assemblea organizzativa.

La situazione nazionale.

Lo scenario che abbiamo davanti è sicuramente difficile. La nascita del Governo di centro sinistra (risultato vittorioso per poche migliaia di voti e con una maggioranza risicata anche a causa di una legge elettorale, cambiata artatamente dal centro - destra, per rendere difficile la governabilità), aveva creato molte aspettative. Quanto detto e promesso in campagna elettorale, poteva sembrare il prodromo per un cambiamento sostanziale nella vita dei ceti più deboli. Il cuneo fiscale, la riduzione della tassazione a livello nazionale, una diversa attenzione nei confronti dello Stato sociale e delle politiche per il lavoro, in specie ammortizzatori sociali, la creazione del fondo per la non autosufficienza, l’abolizione dello scalone, ha creato tante speranze.
In realtà, sappiamo tutti come è andata. Era anche abbastanza logico che finisse così: in campagna elettorale è facile farsi propaganda, ma poi… per tradurre in pratica…. Un Governo, che lo si ricordi, aveva fatto proprio il programma della CGIL!!!!
Il risanamento delle finanze pubbliche è diventato prioritario, anche a causa dei richiami dell’Unione europea e così:
· La riduzione delle aliquote fiscali a livello nazionale è stato vanificato, di fatto, dall’aumento della tassazione a livello locale (ICI, addizionali) e dalla riduzione dei trasferimenti al sistema degli enti locali, che si ripercuote sulla qualità dei servizi sociali.
· Lo scalone non è stato abolito e si è iniziata una trattativa snervante all’interno di un Governo diviso tra ala massimalista e riformista.
· Il fondo per la non autosufficienza non è decollato, perché privo di adeguati finanziamenti.
· Le retribuzioni e delle pensioni non state rivalutate, come si sarebbe dovuto fare per un giusto recupero del potere d’acquisto.
· La precarietà, che doveva essere abolita con un colpo di bacchetta magica, sussiste tuttora. Mentre si è fatta una battaglia ideologica contro la legge 30 e contro alcuni istituti (vedi il lavoro interinale), non si regolamenta il sistema degli appalti con i suoi ribassi, causa prima di insicurezza e precarietà.

Su questi versanti, le critiche sindacali sono state forti soprattutto perché ci si trova davanti ad un Governo debole, diviso e che cerca di scaricare le responsabilità su un sindacato che invece sta tenendo la botta con intelligenza e con senso della misura.

Certo non vanno dimenticati anche alcuni provvedimenti positivi:
· Si registra un miglioramento dei conti pubblici, obiettivo assolutamente condivisibile e obbligatorio per rientrare nei canoni europei.
· Vi è anche un’inversione di tendenza nell’espansione del prodotto interno lordo perché siamo passati dallo zero fisso degli ultimi anni ad una crescita che raggiunge il 2%.
· Nelle politiche del lavoro, al di là del massimalismo di facciata di parti del Governo e della stessa CGIL (incartata nelle sue stesse posizioni estremistiche assunte durante il Governo Berlusconi), si sono avviati provvedimenti che, in larga misura, sono frutto dell’elaborazione della Cisl: pensiamo al documento unico di regolarità contributiva, inventato dalla Filca e inserito a suo tempo nella legge 30, provvedimento che sta dando i suoi frutti; ai processi di emersione messi in moto, che prevedono un ruolo importante del sindacato; all’aumento dei contributi dei COCOCO e COCOPRO, da sempre auspicati dalla Cisl.
· L’anticipo della riforma del TFR (già firmato con il Governo precedente) e l’avvio della previdenza complementare per tanti settori dovrebbe finalmente dare risposte ai giovani.
· Vi è anche una grande polemica sugli studi di settore e sulle liberalizzazioni. Ebbene, a volte su queste questioni anche noi come sindacato siamo schizofrenici. In Italia esiste da sempre il problema dell’evasione fiscale: centinaia di miliardi di euro di evasione: lo si denuncia da anni (ricordiamo che la Cisl una volta sosteneva con D’Antoni la minimum tax), si fa poco e quando si fa qualcosa tutti protestano. Finché lo fanno gli autonomi e i professionisti, posso anche capirlo, ma quando si accodano anche i lavoratori, francamente non riesco a comprenderlo, se non per il gusto di criticare il Governo.

Da tutta questa situazione, si è innescato un grande dibattito sul “Tesoretto”, sull’extra gettito: merito del Governo Berlusconi e dei suoi provvedimenti con effetto a scoppio ritardato oppure della paura dei contribuenti nei confronti del ministro Visco o “Fisco” ? Poco ci interessa, quello che interessa è che le risorse del Paese, se ci sono, devono almeno in parte essere indirizzate alla redistribuzione della ricchezza a favore dei lavoratori e dei pensionati.

Parliamo spesso di povertà. La soglia di povertà si attesta intorno ai 900 euro mensili: ebbene, circa il 65% delle pensioni sono al di sotto dei mille euro, diversi contratti nazionali prevedono retribuzioni al di sotto di questa cifra e non ci si dimentichi della diffusione del lavoro a tempo parziale e dei contratti atipici e delle collaborazioni. Se a questo fenomeno, si aggiunge il fatto che, nella nostra Isola, una larga parte delle famiglie è mono reddito, affrontare questo problema del sostegno alle famiglie, della rivalutazione delle pensioni e dei salari, diventa tragicamente prioritario.
Che sindacato saremmo se non affrontassimo con forza questa tematica ? Ecco perché sono state importanti le lotte che, anche in questi mesi, abbiamo portato avanti nelle categorie per il rinnovo dei contratti e nelle piazze attraverso le manifestazioni dei Pensionati, ma non solo di pensionati. Manifestazioni, a Roma e a Cagliari, variopinte e colorate con le nostre bandiere, a volte preponderanti come numero e sicuramente come entusiasmo e voglia di lottare rispetto alle altre organizzazioni sindacali.
Dobbiamo condividere questa capacità di mobilitazione dei pensionati nata da intelligenti intuizioni della segreteria nazionale della FNP (vedi la proposta di nascita del fondo per la non autosufficienza, di un nuovo paniere ISTAT per gli anziani, rivalutazione delle pensioni etc.) anche perché essa è o deve essere indirizzata non ad una sterile protesta, ma ad uno scambio intergenerazionale che deve cementare la nostra organizzazione. L’esperienza dei meno giovani spesa a favore proprio, ma anche a favore dell’intera società e dei nostri figli ai quali abbiamo il dovere di lasciare un mondo migliore ed una speranza di stabilità e di lavoro.
Questa generazione che ha avuto un’eredità cospicua in termini di miglioramento delle condizioni di vita, deve essere protagonista di un riscatto per ridare fiducia e speranza ai giovani.

Questo problema della povertà a volte viene sottovalutato o visto in maniera pietistica o riservato alla Chiesa e ai Vescovi: In termini assoluti i poveri dei paesi avanzati possiedono più beni fisici e monetari dei poveri del terzo mondo, ma sul piano psicologico la povertà è più difficile in un contesto di relativa abbondanza. In Bangladesh (così dice Yunus Moahamad, il banchiere dei poveri) i poveri vivono come gli altri; non hanno la tv, non hanno l’auto o l’aria condizionata: beni che neanche i ricchi hanno. Ci sono differenze, ma si cresce tutti insieme. In America e nell’Europa occidentale è diverso. Il consumismo, l’emulazione del ricco e dei modelli consumistici di vita rende la povertà meno accettabile, perché a fronte di un’opulenza smaccata non si riesce a comprendere le ragioni di una società profondamente ingiusta e sprecona. Ma i problemi dei poveri sono sostanzialmente gli stessi e abbiamo il dovere di affrontarli davvero se vogliamo essere un vero sindacato.
Ricordate la frase di Carniti: un sindacato o è solidarietà o non è !
Aggiornando questa bellissima frase (che ha accompagnato la mia formazione sindacale da giovane), si potrebbe dire o il sindacato si occupa dei poveri (intendendo per poveri, le fasce deboli della nostra società) spendendosi con interezza su questi versanti oppure non esiste, non fa il proprio dovere, non è !

Pensioni

Il Governo del centro - destra, nella passata legislatura, ha fatto due riforme: la prima è la cosiddetta Legge Maroni che innalzava di colpo l’età pensionabile da 57 a 60 anni, nel breve volgere di un giorno, contestata dal Sindacato. La seconda è la riforma del TFR frutto di un accordo generale tra tutte le organizzazioni sindacali e datoriali.
Entrambe queste riforme avevano una caratteristica: entrare in vigore nel 2008; due belle polpette lasciate al Governo successivo, una delle quali sicuramente avvelenata.
Siamo al redde rationem: in questi giorni, in queste ore si sta costruendo un accordo. E’ una partita importante quella delle pensioni e dello scalone, ma bene ha fatto la Cisl a non circoscrivere la discussione a questo punto.
Dobbiamo trovare la quadratura del cerchio tra le esigenze degli anziani già in pensione che devono vedere salire il valore della pensione; quelle di coloro che stanno maturando i requisiti pensionistici e per i quali lo scalone è profondamente ingiusto; quelle dei giovani, ben lontani dalla pensione, ma che devono avere delle prospettive future e per questi va spinto l’acceleratore sulla previdenza complementare, perché noi abbiamo un debito nei confronti dei giovani, contratto con la legge Dini che ha introdotto il metodo contributivo nel calcolo della pensione che ha penalizzato i giovani e che deve essere corretto dalla seconda gamba della previdenza.
E poi c’è la questione dello stato sociale e di un sistema moderno di ammortizzatori sociali, da sempre sostenuto dalla Cisl, anche ai tempi del patto per l’Italia, del quale oggi ricorre il quinto anniversario, ma mai affrontato seriamente dai Governi.
Certo, è vero, l’età media cresce, per fortuna, sia per le donne che per gli uomini, La Confindustria sostiene che bisogna andare in pensione più tardi. Si parla di scalini e di quote (che sono sempre meglio dello scalone). Tutto ciò potrebbe essere anche condivisibile ma ad un patto. Intanto non bisogna trattare nello stesso modo situazioni disuguali perché questo sarebbe fonte di ingiustizia. Mi riferisco, in particolare, a lavori usuranti, a lavori di turnisti che devono essere trattati diversamente dagli altri lavori. Fernando Cecchini, grande esperto di Mobbing della Cisl, sostiene da tempo che l’allungamento della vita lavorativa in un ambiente di stress è una delle prime cause degli infortuni sul lavoro. E allora non si può pensare di mandare a 60 65 anni un edile su un’impalcatura e poi piangere o disperarsi se avvengono incidenti sul lavoro: bisogna essere coerenti.
Diciamolo forte: molti sono costretti ad andare in pensione perché sono le aziende a considerare dei rottami, lavoratori che hanno 45 50 anni. Occorre forse aumentare l’età pensionabile, con quegli accorgimenti detti, ma occorre anche rivedere quello che è il clima nelle aziende.

In tutti i casi sarà importante confrontarsi e discutere con i lavoratori di questi problemi.

Regione:

Rileggendo la relazione che Angelo Vargiu aveva presentato all’assemblea organizzativa del 2003, mi è venuto di pensare: ma qui i problemi sono sempre gli stessi! In effetti è un po’ la nostra condanna, perché i problemi che c’erano 4 anni fa, in larga parte sono rimasti: accordo per il rilancio dell’industria, riforma dello Statuto sardo, il problema dell’energia e dei trasporti, la precarietà, il patto per lo sviluppo con la Confindustria, le politiche sociali. Avrei potuto riprendere quella relazione e ripeterla, tanto nessuno se ne sarebbe accorto.

E tuttavia, non dobbiamo rassegnarci perché, come dice spesso Baretta, citando a sua volta una frase di Einstein, i problemi sono sempre gli stessi, ma cambiano i modi di affrontarli e le soluzioni. D’altronde, è la nostra funzione quella di batterci, senza scoraggiamenti, per risolverli.

Intanto un’osservazione: abbiamo una Giunta regionale con una maggioranza fortissima, con un Presidente – Governatore, eppure lo scontento è palese, è sempre più evidente. Siamo scontenti del Governo nazionale perché debole e diviso, siamo scontenti di Soru perché ha troppi poteri, sminuisce il ruolo del Consiglio regionale, ha messo la sordina alla concertazione. Ma allora tanto affanno sui temi della riforma elettorale, sui referendum, per carità magari anche giusti, rischia di essere vano. Sarà anche corretto proporre riforme statutarie ed elettorali più valide, ma rimane sempre il problema di fondo: è la qualità della politica che deve crescere, è la fiducia dei cittadini verso il sistema istituzionale e la moralità generale che può far fare il salto di qualità, a prescindere dai tecnicismi.

Sempre nella relazione di 4 anni fa, si citava il dato della disoccupazione: il 18%. Oggi guardiamo le statistiche regionali e vediamo che il tasso di disoccupazione sembra diminuito (11% circa). Dovremmo arguire che la situazione è migliorata. In realtà, sappiamo tutti che la disoccupazione permane ad alti livelli, che vi è un gap notevole rispetto ai dati medi nazionali e ancora di più con i dati delle regioni del Nord, che continua ad esserci una percentuale molto elevata di precarietà che il sindacato regionale valuta sul 20% della forza lavoro sarda.

Le ricette ipotizzate dalla Giunta regionale non sembrano aver funzionato. La Cisl vuole uno sviluppo equilibrato basato certamente sul rispetto dell’ambiente, sul turismo, sui servizi di qualità ma che veda la presenza di un settore industriale fondamentale per creare ricchezza.
Le percentuali di occupazione e di prodotto lordo in Sardegna, relativi all’industria, appaiono inferiori a quelle delle altre regioni. Perciò, è in atto una forte mobilitazione generale del sindacato unitario nei confronti del Governo e della Regione, sfociata nella manifestazione solo Cisl del 26 giugno. Mi insegnavano i miei maestri sindacali che una vertenza era unitaria quando i contenuti erano unitari: e così è oggi. Mi sembra ridicolo che la CGIL e, per altri versi, la UIL si siano rifiutate di scendere in piazza, per un modesto e pacifico Sit In, per timore di qualche rimprovero politico. Sicuramente va ascritto alla determinazione della Cisl l’aver ottenuto l’attenzione da parte delle forze del Consiglio Regionale (maggioranza ed opposizione) e della Commissione competente sulla problematica “Industria”. Rimangono le polemiche, ma è necessario serrare le fila.
Sono stati siglati tanti accordi, negli anni scorsi, molti dei quali non attuati in tutto o in parte (si pensi all’accordo sulla chimica o a quello sull’energia). Ci sono tante vertenze in corso ( e per i nostri territori cito UNILEVER, Mineraria Silius, Scaini, Zuccherificio ), alle quali si cerca di rispondere tamponando ed agendo sugli ammortizzatori sociali. Sull’emergenza anche la Giunta regionale sicuramente ci sta mettendo il suo impegno. Ma non è sufficiente, manca un quadro d’insieme, manca una strategia complessiva, manca una politica industriale degna di questo nome che difenda l’esistente e l’occupazione industriale, ma crei le condizioni per localizzare nella nostra Isola produzioni di qualità, industrie innovative e moderne, rilanci l’agroalimentare, e rivendichi gli investimenti per le infrastrutture necessarie a partire dal porto container di Cagliari e la correzione della normativa sulle autostrade del mare, finora negate alla Sardegna,
Si pensi che il 60% delle merci che sbarcano ad Olbia sono destinate al Sud Sardegna e prendono la via della 131 che sappiamo essere in condizioni disastrose, anziché quella delle autostrade del mare che potrebbero far risparmiare almeno il 30% dei costi.
Tutto ciò è importante anche alla luce della recente legge Finanziaria nazionale e della vertenza Entrate che si è conclusa, attribuendo risorse alla Regione per il futuro, ma addossando alla Sardegna il costo totale della Sanità ed anche della “continuità territoriale” e del sistema dei trasporti interno.

Il 10 luglio bisogna andare a Roma, tenendo la guardia alta e puntando sull’ottenimento di risultati concreti. Va condotta una battaglia insieme da istituzioni e sindacati nell’interesse generale dello sviluppo della Sardegna.

Restano aperte a livello regionale alcune vertenze, innescate da provvedimenti di riforma dell’amministrazione regionale e che vedono sofferenti, in particolare, i lavoratori della formazione professionale, impegnati in un’estenuante trattativa fatta di accordi e di continue promesse non mantenute ed ai quali va la nostra solidarietà
Quel che è inconcepibile è che, in una Regione che ha grande bisogno di dare risposte formative ai disoccupati ma anche alla necessità della formazione continua, non si trovino risposte adeguate ai lavoratori che da anni garantiscono la formazione.
Nel contempo non si possono dimenticare i risultati positivi ottenuti nel campo della lotta contro le povertà, frutto della mobilitazione sindacale: non autosufficienza, politiche del lavoro e contrasto alle povertà per le quali la Giunta ha stanziato somme rilevanti.

Situazione socio economica del cagliaritano.

Non può certo mancare un accenno alla situazione generale della provincia di Cagliari, perché il tema è collegato con i problemi dell’occupazione e della disoccupazione, perché essi incidono sullo sviluppo e sulla stessa qualità del lavoro.

Secondo i dati più recenti, nella provincia di Cagliari (quella vecchia perché ancora non siamo riusciti ad avere i dati disaggregati), ci sono 36000 persone in cerca di occupazione – dei quali oltre la metà donne – con una percentuale di tasso di disoccupazione pari al 11,1%, contro il 10,8% regionale e il 6,8% nazionale.

Il dato sulla disoccupazione è superiore alla media regionale e ci colloca al penultimo posto tra le vecchie province sarde. Il tasso di disoccupazione femminile si assesta al 15,2% (dato regionale 14,6% nazionale 8,8%.)

Anche per il tasso di occupazione per le persone tra 15 e 64 anni, siamo ben al di sotto delle medie nazionali: il tasso di occupazione nel 2006 per la provincia di Cagliari è del 51,8% contro il 58,4% nazionale e il 52,3% regionale. Il tasso di occupazione femminile registra risultati più bassi ancora rispetto alle medie regionali e nazionali (37,9% a Cagliari, 38,2% in Sardegna, 46,3% in Italia.)

Analogo discorso per il tasso di attività.

La città di Cagliari è una delle città a maggiore rischio di lavoro nero (si calcola al 20% - 25% il tasso di lavoro nero in città), le dimensioni delle aziende sono abbastanza piccole e si calcola che siano iscritti al fondo lavoratori parasubordinati circa 50000 persone nella nostra Provincia ( i cosiddetti collaboratori). Con le dovute cautele, si tratta di numeri ragguardevoli.

I fenomeni di povertà relativa e assoluta sono nella media regionale, ma sono acuiti dal fatto che qui si vive in un’area metropolitana dove le basse pensioni e i bassi salari penalizzano ancora di più i cittadini e rendono il tenore di vita ancora più debole.
La realtà che ci troviamo di fronte è questa:.

Un mercato del lavoro debole, frammentato, con aziende di dimensioni ridotte con scarsa propensione al consorzio e ala cooperazione, fenomeni diffusi di disoccupazione, soprattutto nelle fasce giovanili e tra le donne, difficoltà di ricollocamento al lavoro, soprattutto per i lavoratori più anziani, che perdono il posto di lavoro, diffusione patologica del lavoro atipico.

Insomma, accanto ad un possibile rilancio dell’economia in alcuni settori (vedi la portualità, il turismo, il commercio, i servizi, la società della tecnologia, una parte dell’industria), assistiamo a crisi aziendali, specie nel settore industriale, ma non solo.

Basti pensare alla crisi della Mineraria Silius, a quella dell’UNILEVER, alla crisi di alcuni settori dei servizi, o alla continua e incessante problematica degli appalti delle pulizie, delle mense, ma in genere di tutti i servizi in appalto, alla crisi delle case di cura private con annessi licenziamenti.

Tutto questo crea precarietà, non bilanciata dall’esistenza di un adeguato sistema di ammortizzatori sociali o da processi di formazione continua e professionale in grado di aiutare alla riconversione lavorativa chi perde il lavoro.

L’occupazione si addensa particolarmente sui call center e nei supermercati nei quali regna lo sfruttamento, il lavoro atipico, il part time (obbligato),

In questo quadro, si stanno delineando le iniziative dei piani strategici comunali (Cagliari e Quartu S.E.).

Noi abbiamo espresso la nostra idea: Siamo convinti che Cagliari, al di là del riconoscimento giuridico, deve agire in una logica di città metropolitana e che, se l’economia tira nella nostra provincia, questo rappresenta un traino per l’intera Sardegna. Per questo le problematiche di Cagliari devono essere affrontate in una logica di area metropolitana e di area provinciale. Senza egoismi, senza primogeniture, ma con la consapevolezza che i problemi del traffico, della valorizzazione del Poetto, del turismo e del commercio, dei trasporti, a partire dallo sviluppo del porto container e dell’aeroporto, del ruolo dell’Università e della sistemazione dei 40000 studenti universitari (molti dei quali fuori sede), della stessa dislocazione dei presidi ospedalieri, vanno affrontati in una logica sovracomunale e in sinergia con gli attori sociali e istituzionali.

Da più parti si sente parlare di rilancio della scuola, dell’università, della ricerca e della formazione, pilastri e infrastrutture immateriali decisivi per lo sviluppo. Ma l’Università appare chiusa in se stessa e, dopo annate di sprechi, ora cerca di addossare sugli studenti il peso delle sue inefficienze aumentando le tasse universitarie, la Scuola, in provincia di Cagliari, a leggere le ultime statistiche, non contestate da alcuno, è agli ultimi posti in Italia per qualità e per strutture scolastiche, la formazione professionale è in coma e non riesce a collegarsi con il mondo del lavoro: basti pensare che non si riesce a trovare neanche i saldatori per la Saras e che secondo, una ricerca della provincia cagliaritana, è più facile trovare un’occupazione con qualifiche basse, piuttosto che con lauree e diplomi. La ricerca, che pure ha centri di eccellenza nella provincia, tuttavia vive crisi anche occupazionali.

Insomma, a volte, ci riempiamo la bocca della necessità di un’occupazione e di uno sviluppo di qualità, ma siamo in ritardo proprio in questi segmenti che potrebbero favorirla. I nostri giovani, pur laureati, sono costretti di nuovo ad emigrare.

Ecco, non vorremmo che le grandi discussioni sui piani strategici, diventassero un esercizio retorico e astratto, mentre la disoccupazione o l’occupazione di scarsa qualità continua a crescere.

Sarebbe l’ennesima delusione e l’ennesimo motivo di scarsa fiducia nei confronti della politica e del sindacato, suo malgrado coinvolto.

In questo quadro, si inserisce la necessità di rilanciare la politica della concertazione con la Congfindustria, attraverso la rivitalizzazione del tavolo di Governance, ma anche la costruzione di un sistema di relazioni e di confronto anche con le associazioni delle piccole medie imprese e con il mondo dell’artigianato, per un verso, e, in contemporanea, attuare iniziative e vertenze nei confronti nei confronti della Provincia, spesso protagonista ma più velleitaria che altro, e con il sistema degli enti locali, per quanto attiene il regime delle tariffe, le politiche sociali e la tassazione locale.
Non basta rivendicare concertazione con il Governo, con la Regione, ma occorre attrezzarci per essere attivi anche sul versante locale.

Su una cosa, vorremmo soprattutto ottenere qualche risultato concreto: la sicurezza sul lavoro. Noi vogliamo lo sviluppo, ma uno sviluppo di qualità. Parliamo di sviluppo del porto e, negli ultime due anni, sono morti due lavoratori, due lavoratori precari. Abbiamo fatto degli scioperi, abbiamo organizzato una manifestazione di sensibilizzazione sulla sicurezza, abbiamo messo in cantiere tavoli di confronto con Prefettura, sistema degli Enti, associazioni padronali, ma dobbiamo impegnarci tutti nelle aziende e nel territorio. Il rafforzamento del ruolo e dell’attività del nostro sportello sulla sicurezza (sportello 626) deve costituire uno dei punti qualificanti della nostra azione.

E’ stata svolta anche una faticosa attività unitaria, attraverso la costruzione di una piattaforma rivendicativa, culminata nell’assemblea generale del marzo scorso e seguita dall’assemblea dei delegati per la sicurezza. Riteniamo di dover fare, nonostante le differenze di vedute su molti aspetti, un grande sforzo unitario, anche se questo ci costa tempo e impegno perché l’unità è un bene gradito ai lavoratori e agli iscritti.

Situazione del Medio Campidano

Una Provincia come questa, piccola, costituita in prevalenza da piccoli Comuni, con un forte tasso di disoccupazione, specialmente giovanile e femminile, ha una grande necessità di riunire attorno ad un progetto condiviso tutte le rappresentanze della Provincia, quelle politiche, istituzionali, sociali ed imprenditoriali.
La situazione economica e sociale del Medio Campidano è analoga a quella delle altre province sarde. I ritardi dei fattori dello sviluppo incidono però in misura maggiore che altrove: il costo dell’energia, una rete viaria vecchia e inadeguata alle necessità del territorio, un sistema creditizio arretrato,una pubblica amministrazione poco efficiente, un sistema scolastico e formativo da rivedere, la precarietà del lavoro, soprattutto in un territorio dove l’82%dei dipendenti opera in aziende con meno di 19 unità e di questi il 70% in aziende sotto i 10 dipendenti, e solo il 18% opera in aziende con più di 20 unità, rappresentano ostacoli determinanti che condizionano negativamente la situazione economica e sociale
Di fronte a questi parametri occorre individuare strategie e strumenti che consentano il superamento di questi ostacoli.

Il Medio Campidano ha una sua specificità e questa ci deve consentire di individuare una propria e giusta collocazione all’interno delle problematiche della Regione Sarda, a pari dignità di tutti gli altri territori e delle altre province.
Altri territori hanno, purtroppo, maggior ascolto e maggiori attenzioni, e questo capita anche a livello sindacale.
I problemi del lavoro, dell’occupazione, dell’efficienza dei servizi sociali, ma in genere tutto ciò che attiene allo sviluppo, devono essere affrontati con lo stesso impegno dal Governo, dalla Regione e da tutte le istituzioni.

Su questo terreno, la CISL, è determinata e cercherà di mettere in campo tutte le capacità e le risorse per rilanciare uno sviluppo equilibrato, l’occupazione del territorio e far uscire i lavoratori, i pensionati, i disoccupati, i precari, i giovani e le donne da una situazione sempre più difficile.
E’ una nuova Provincia e non spira una bella aria per nessuna provincia (vecchia e nuova), sia in campo regionale che nazionale. Questa provincia ora esiste e bisogna farla funzionare. Per questo occorre agire all’unisono, perché 28 Comuni e 105000 abitanti costituiscono una piccola entità nella quale bisogna abbandonare i campanili, le rivalità stupide, le diatribe paesane, unirsi per rivendicare una maggiore attenzione da parte dello Stato e della Regione.

Ci si deve abituare a lavorare insieme e soprattutto a fare lavorare insieme i Comuni, che si devono consorziare almeno per quelle iniziative di interesse comune, per i servizi socio sanitari, per le intraprese produttive, per le iniziative di stabilizzazione del lavoro, per le attività di alcuni settori, quali quello turistico museale e culturale, per la raccolta differenziata ed altre.
Solo l’unione delle forze sociali, politiche ed imprenditoriali, può rilanciare lo sviluppo economico e la valorizzazione delle potenzialità esistenti.

In questa logica, il Sindacato intende impegnarsi a fondo ed offrire tutta la sua disponibilità ed il suo contributo per la definizione del Piano Strategico Provinciale.all’interno del quale deve trovare il giusto rilievo il rilancio dell’industria.

Fare ciò significa rimuovere tutti gli ostacoli che si frappongono allo sviluppo del sistema produttivo, investendo in termini di efficienza della Pubblica Amministrazione, per la realizzazione delle infrastrutture, per garantire una formazione continua, per la ricerca. Significa creare le condizioni per la crescita di tutto il tessuto economico e sociale ed occupazionale della Provincia.
Per questo è necessario definire il protocollo di governance con la Confindustria e con l’API sarda per contribuire al consolidamento dell’apparato produttivo ed al rilancio dello sviluppo industriale dell’area del Medio Campidano, nella convinzione che l’industria rappresenti un tassello fondamentale per il rilancio dell’economia.

Ma questo non basta, occorre definire un vero”PATTO PER LO SVILUPPO” tenendo aperto il tavolo provinciale per l’economia e l’occupazione. Un patto che coinvolga la Regione, la Provincia, tutte le Amministrazioni Locali, le parti sociali, l’Università, nell’ambito delle proprie funzioni istituzionali e di rappresentanza, per condividere obiettivi e linee strategiche, rafforzando le forme di concertazione e di programmazione, per una condivisione forte del progetto di rilancio e valorizzazione del territorio.




Rappresentanza

Qualche giorno fa, il presidente di Confindustria, Montezemolo (presidente di quasi tutto, gli manca solo la presidenza del sindacato), ha sparato una dichiarazione che ha indignato molti di noi: il sindacato rischia di rappresentare solo i pensionati, i dipendenti del pubblico impiego e i fannulloni. Ha voluto ricalcare una formula di successo, già usata dal professor Ichino per vendere tante copie del suo libro.

Noi dobbiamo respingere tali affermazioni strumentali. Il sindacato, in questi anni, ha fatto il suo dovere, è riuscito a rappresentare, nonostante le tante difficoltà, una larga fetta dei lavoratori italiani e ha dato luogo ad un’esperienza originale nel movimento sindacale europeo, quale la costruzione di un sindacato dei pensionati di tipo orizzontale. Dobbiamo essere orgogliosi di questo e dei risultati che abbiamo ottenuto, anche in termini di proselitismo e di rappresentatività.

Tuttavia non possiamo addormentarci sugli allori.

Le tesi nazionali per l’assemblea organizzativa mettono l’accento sulla sindacalizzazione e ci dicono che vi è un calo percentuale nella rappresentatività sindacale, nell’area degli attivi, mentre vi è un incremento sostanzioso in quello dell’area dei pensionati.
Se poi è anche vero che la sindacalizzazione assume percentuali elevate nelle grandi aziende, dove si applica lo Statuto dei lavoratori, nel pubblico impiego e, in genere, nelle aree forti, non altrettanto si può dire per quanto attiene il lavoro atipico, quello precario, le piccole e medie aziende, i giovani, le donne e, sia pure con consistenti miglioramenti, l’area dell’immigrazione, quella degli appalti..

Osservare questo non vuol dire dare ragione ai nostri detrattori, ma significa prendere atto della realtà, di un mondo del lavoro diverso da quello che abbiamo sempre conosciuto e riconoscere che la struttura sindacale, con tutti i pregi che abbiamo elencato, ha la necessità di qualche modifica.

Troppo spesso, le demarcazioni dei settori produttivi sono sempre più esigue e di conseguenza spesso bisogna affrontare le problematiche del lavoro in maniera sinergica tra Federazioni e Confederazione: questo non sempre avviene.

Lavoro frammentato e debole, lavoro individualizzato, lavoratori che si distinguono non in base al settore merceologico ma in forza delle condizioni e delle caratteristiche tipologiche del rapporto instaurato (per esempio lavoratori interinali o temporanei, per alcuni versi i COCOCO e i lavoratori a progetto), giovani e donne in cerca di occupazione, disoccupati di lunga durata, pensionati con forti esigenze rispetto ai servizi socio assistenziali e culturali e con la necessità di difesa del loro reddito, immigrati con forti necessità di integrazione e di servizi. Questo è lo scenario che abbiamo davanti; queste sono le esigenze alle quali dobbiamo cercare di rispondere.

Come avvicinare i lavoratori, come rispondere alle loro esigenze che diventano quasi personali ? Spesso ad ognuno occorre dare una risposta personalizzata. Questa è la difficoltà che fa tornare quasi alle origini del sindacato. Un sindacato organizzato per rispondere al lavoratore tipico, ma che spesso trascura le problematiche dei precari, degli atipici perché fastidiose e poco paganti.

Molto spesso questi lavoratori non possono attivare neanche la delega e si torna, se si vuole cogliere l’iscritto, alla raccolta dei contributo brevi manu: un ritorno all’antico, che impone di raddoppiare gli sforzi e la cultura dell’accoglienza. E che, aggiungo, potrebbe anche farci bene e riscoprire la modestia e il sacrificio, senza avere più rendite di posizione. E sono fenomeni che esistono in tutti i settori: da quello industriale a quello pubblico, da quello del terziario a quello dell’agricoltura.
E’ importante rimarcare la nostra natura di associazione: noi siamo un’associazione, i nostri iscritti sono legati dal vincolo dell’associazione, la nostra costituzione è il nostro Statuto e la nostra legittimità non può che derivare dalla delega che ci danno i lavoratori. Ecco perché la CISL, a differenza di altre organizzazioni sindacali, è contraria a che la rappresentanza e la rappresentatività derivino da forme esterne e in particolare dalle leggi.

Ma essere associazione vuol dire anche avere un rapporto costante e continuo con gli iscritti. E’ fondamentale che gli iscritti votino ai Congressi i loro rappresentanti CISL (sembra ovvio ma non è scontato), con il rispetto delle regole stabilite dagli Statuti e dai regolamenti.

E’ decisivo per la vitalità dell’organizzazione che si rispettino le minoranze e che si viva in una organizzazione dove trovino cittadinanza anche le critiche e si dia voce a tutti.

E’ altrettanto importante che gli iscritti siano coinvolti, realmente, nella discussione delle tematiche più importanti e sulle scelte politiche e organizzative della Confederazione e delle Federazioni. Non dobbiamo permettere che l’iscritto conosca le linee della CISL solo attraverso la lettura dei giornali: dobbiamo praticare un contatto continuo con i lavoratori. Non ci deve essere paura o reticenza: dobbiamo spiegare bene ai nostri rappresentati le nostre posizioni, favorendo anche la discussione e la critica costruttiva, ma non rifuggendo al confronto per paura o timore reverenziale di altre sigle sindacali.
Troppo spesso ce ne dimentichiamo.

Per questo è necessario, a volte, studiare a fondo i problemi, essere competenti e informati è un dovere da parte nostra. Ecco perché dobbiamo favorire i processi formativi in tutte le tematiche sindacali. E’ altrettanto importante ripensare al rapporto tra lavoratori e iscritti e sindacato. Se il nostro rapporto fosse più costante, la nostra politica verrebbe capita e condivisa meglio.

Altrettanto importante è rimarcare la natura della CISL come sindacato di federazioni categoriali. Il ruolo delle categorie è fondamentale. Solo che, a fronte dei mutamenti dello scenario, deve trovare nuove forme di azione. Probabilmente non basta più la sola azione di proselitismo all'interno delle grandi aziende pubbliche e private, ma bisogna riscoprire e rivalutare il ruolo della bilateralità, della integrazione tra Federazioni e tra Federazioni e Confederazione.

Accorpamenti e numero delle categorie

Fino all’assemblea organizzativa del 2003, si era messo in moto un processo di accorpamento di diverse Federazioni che ha portato ad una diminuzione delle stesse e a buoni risultati in termini organizzativi e politici. Gli accorpamenti sono stati attuati per avere un maggiore peso politico e per risparmiare le risorse, per il potenziamento della prima linea sia sul terreno politico che su quello del proselitismo. In molti casi i risultati sono stati buoni anche nel nostro territorio. Basti pensare alla Federazione del pubblico impiego o alla Femca e, in passato, ad altre aggregazioni importanti.
C’è stato poi uno stop e, anziché arrivare ad ulteriori accorpamenti, si è puntato alla nascita di altre 5 categorie (lasciando fuori però l’ALAI). In questo modo sono state riconosciute altre Federazioni, con soddisfazione di qualcuno, in primis degli interessati, ma si è accentuato un fenomeno che si è evidenziato nella nostra Regione.
Vi è il tentativo di regionalizzare molte strutture di Federazione, a causa dei numeri piuttosto ridotti. Si può pensare a categorie territoriali con meno di 200 iscritti, se non con meno di 50? Si aumentano le Federazioni, diminuiscono le strutture territoriali, con accentramenti ai Regionali, allontanando la struttura dai lavoratori e dal posto di lavoro. O sarebbe meglio procedere ad accorpamenti intelligenti, lasciando in essere magari comparti all’interno delle Federazioni che si possono avvalere di risorse? Propendo per la seconda ipotesi che meglio si attaglia a territori piccoli come il nostro.
Nel documento si parla solo di Sicurezza, di Energia, di Trasporti. E il resto? L’importante è che l’accorpamento sia funzionale ad una migliore e più autorevole rappresentanza politica ed ad una migliore organizzazione e non all’annullamento delle specificità o alla mera logica dei numeri che emargini o trascuri le esigenze dei settori numericamente più deboli. Ognuno nell’accorpamento deve vedere riconosciuta la propria rilevanza e specificità, nell’ambito di una politica più generale.

Nuova struttura del Medio Campidano

Sul Medio Campidano, abbiamo fatto la scelta, contrastata e non del tutto unanime, di far nascere una nuova struttura sindacale, con caratteristiche del tutto originali e nuove.
Non possiamo pensare di creare una struttura sindacale con poco più di seimila iscritti e di poterla considerare autonoma e autosufficiente dal punto di vista finanziario, se non inseriamo dei correttivi.
Se la Ust del Medio Campidano volesse strutturarsi non dico come quella di Milano, ma anche come quella di Cagliari, sbaglierebbe e si andrebbe incontro al fallimento immediato.
Occorre invece sinergia tra Confederazione, Federazioni, sistema dei servizi con operatori polivalenti e con il raccordo con l’attività del Medio Campidano con la Ust di Cagliari ( se si vorrà) o con la Confederazione Regionale. Curando soprattutto l’apporto della FNP, ricco di esperienza e capillarmente presente nel territorio.
Noi comprendiamo le preoccupazioni dei sindacati regionali che però devono essere più chiari. Ci sono alcuni segretari regionali che affermano di essere d’accordo nel creare una struttura autonoma di categoria nel Medio Campidano e poi, nell’assemblea nazionale di federazione, votano per abolire i territoriali con meno di 200 iscritti.
Non è in discussione la forma della presenza delle Federazioni nel Medio Campidano. Quello che è importante è che ci sono grandi spazi di sindacalizzazione, ci sono ritardi da parte nostra e che, in definitiva, bisogna essere presenti politicamente e organizzativamente.
Su questo, finché saremo competenti (2009), ci impegneremo fortemente.


Servizi

Intanto vorremmo osservare che i servizi non si possono considerare semplicemente dei servizi, ma sono in realtà associazioni o enti che attuano e portano avanti politiche importantissime e complementari a quelle della UST. Si pensi a quanto fa il SICET, nell’ambito della politica della Casa, all’ADICONSUIM, nell’ambito della politica del consumatore, all’ANOLF, per le politiche immigratorie, all’ETSI per il turismo, l’ALAI per le politiche del lavoro e del lavoro atipico, in particolare, il CAF per le politiche fiscali, l’INAS per le politiche sociali e previdenziali, lo IAL per le politiche formative.

Ma gli stessi servizi puri e semplici, quali il Mobbing, lo sportello sicurezza (626), l’ufficio vertenze, che spesso trascuriamo, sono fondamentali anche dal punto di vista delle politiche.

Insomma l’attività della UST sarebbe monca se non esistesse questo sistema che deve essere fatto crescere in quantità e in qualità. Si tratta di costruire una rete che operi in sinergia con l’UST, ma è necessario anche un dialogo interattivo ed una collaborazione reciproca, anche perché le relazioni tra gli ambiti di attività e gli stessi utenti sono sempre più stretti.

E’ molto facile che un iscritto che si rivolge al CAF, abbia la necessità di rivolgersi all’INAS o al SICET, che un immigrato che si rivolge all’ANOLF, abbia bisogno poi dell’ALAI, dell’INAS o dell’Ufficio Vertenze. Si tratta solo di esempi e ne cito uno: quando un mio collega è andato in pensione l’ho portato all’INAS e poi da lì al CAF e poi l’ho fatto anche iscrivere alla categoria dei pensionati. Ecco fare sinergia significa che le associazioni, gli enti, le Federazioni non devono agire come comparti separati. Spesso la mano destra non sa quello che fa la sinistra ed invece il sistema è un’arma formidabile per rispondere a quelle nuove esigenze delle quali abbiano parlato e da queste sinergie devono scaturire nuovi iscritti e nuove adesioni.

Altrettanto importante è la conoscenza reciproca e consapevole di quello che facciamo. Per questo occorre un’azione di marketing all’esterno ma anche all’interno dell’organizzazione per far conoscere ai lavoratori e agli iscritti le potenzialità e, a volte, la semplice esistenza delle associazioni e dei servizi.

Dobbiamo investire fortemente sui servizi soprattutto quelli che sono indirizzati a dare risposte alle nuove esigenze delle fasce più deboli, dei giovani, delle donne, degli immigrati, dei lavoratori precari.

Rafforzare quello che c’è, migliorare la qualità e l’efficienza, In questo senso, vogliamo far osservare:

· La decisione dello scioglimento della FISERVICE e la sua confluenza nella società regionale, è stata presa in funzione di maggiore efficienza, abbattimento di costi, omogeneità di tariffa, sinergia e ampliamento della gamma dei servizi resi. Va rilevato che nella provincia di Cagliari il nostro CAF è il primo in termini percentuali per modelli 730 lavorati, anche davanti a quello della centenaria CGIL che ci supera, di almeno 10000 iscritti, stando alle statistiche ufficiali, mentre nel Medio Campidano, siamo sotto di dieci punti percentuali alla CGIL, con però poco più di un terzo degli iscritti.
· Lo sviluppo dello sportello immigrazione all’interno dell’INAS con il coinvolgimento dell’ANOLF che ha dato ottimi risultati non solo statistici.
· L’apertura dell’internet point e dello sportello informatico dedicato all’apprendimento dell’informatica stessa a favore delle fasce deboli (disoccupati, pensionati, immigrati) effettuato attraverso la partecipazione ad un bando regionale e con la sinergia tra UST INAS IAL.. Intendiamo sviluppare l’attività di questo sportello, anche con l’apertura di un Club giovani ALAI e di uno sportello di orientamento al lavoro.
· La costituzione dell’ETSI e l’implementazione dell’attività degli sportelli SICET, ADICONSUM, ANOLF grazie a volontari del servizio civile o a militanti disponibili. Sono tutte associazioni che primeggiano in campo provinciale sia come qualità della proposta politica, sia come attività e numero di iscritti.
· La specializzazione dell’INAS nelle tematiche del pubblico impiego , vero fiore all’occhiello del nostro patronato che meriterebbe maggior fortuna in ordine al tesseramento
· Il tentativo che stiamo facendo nel rivalutare e rilanciare l’attività dell’Ufficio Vertenze, cercando di riunificate i vari servizi offerti dalle categorie, anche in considerazione dell’ormai prossima attivazione di SINDACARE che consentirà di avere in rete tutti i contratti di lavoro e tutta la modulistica per le vertenze, atteso che solo il 15% delle vertenze passa attraverso il sindacato Cisl e che la maggior parte delle vertenze passa attraverso esperti o avvocati o consulenti del lavoro. E’ un obiettivo, quello dell’unificazione almeno degli standard, che intendiamo perseguire da qui al Congresso del 2009.
· Lo sportello 626 e quello del Mobbing devono essere potenziati. La sicurezza sul lavoro va messa al primo posto tra i nostri obiettivi e non deve essere solo un ritornello recitato, a volte strumentalmente, in occasione di infortuni mortali. Formazione e informazione devono partire da noi e lo sportello 626 deve essere il motore.
· L’attivazione del sito della Cisl di Cagliari che forse non è ancora tanto conosciuto ma che vede oltre mille visitatori al mese, a conferma dell’interesse suscitato dentro e fuori la nostra organizzazione.
· In questa logica, il collegamento con le leghe dei pensionati appare un passaggio fondamentale per rendere effettiva la capillarità del sistema e garantirla nel territorio. La competenza e la professionalità degli ex lavoratori sarà un valore aggiunto per tutta l’organizzazione.


Nel sistema appena descritto, mancano tasselli (per esempio consulenza per la creazione d’impresa, ufficio handicap. Artigianato – una volta esistente) e sicuramente vi sono pecche. Siamo sicuri che motivando i responsabili e gli addetti, favorendo la loro integrazione con la struttura complessiva e soprattutto migliorando la comunicazione con gli iscritti e i lavoratori, potremo ottenere ancora risultati migliori, finalizzati anche alla crescita organizzativa della UST e delle Federazioni.

DONNE

Siamo nell’anno delle pari opportunità e il documento nazionale non tralascia l’argomento donne e, in particolare, delinea ed auspica, anzi impone una maggiore presenza di genere nelle strutture sindacali, a tutti i livelli.
Viene quindi ribadito il ruolo dei coordinamenti femminili, ma va ricordato che da quest’anno, con le recenti modifiche statutarie e regolamentari, è previsto l’ingresso di almeno una donna all’interno delle segreterie di categoria e confederali, provvisoriamente anche in aggiunta al numero di tre componenti indicato.
Noi intendiamo adeguarci quanto prima a questa direttiva, ma, a prescindere dalle quote rosa a volte contestate dalla stesse donne, soprattutto riteniamo fondamentale il ruolo delle donne e del coordinamento, come momento di passaggio, di ponte, per quanto attiene allo studio delle problematiche delle donne e della famiglia all’interno delle politiche contrattuali.
Solo favorendo la nascita di una dirigenza “Donne” qualificata e professionale e cambiando gli stili di attività del sindacato, si potrò ottenere il risultato ipotizzato.

CONCLUSIONI

Un bilancio dell’attività si presenta in genere dopo quattro anni. Questa segreteria ed il segretario generale hanno tanti difetti. Se qualcuno, nel suo intervento, vorrà evidenziarli, lo ascolteremo volentieri (come già avvenuto peraltro all’interno degli organismi) proprio perché è giusto che i sindacalisti esercitino il loro spirito critico (costruttivo) anche all’interno dell’organizzazione. Altrimenti che sindacalisti sarebbero?

Tuttavia vorremmo evidenziare che l’attività di questa UST si è caratterizzata da una serie di iniziative formative e informative rilevanti che si sono snodate in questi due anni. Riteniamo, per essere conseguenti a quello che abbiamo scritto, che queste siano le basi per creare una nuova classe dirigente formata, consapevole e preparata a dare risposte ai lavoratori e agli iscritti.

I seminari di un giorno ( non li cito perché sono troppi) e il percorso formativo avviato nella UST che ha coinvolto finora 35 giovani sindacalisti e sindacaliste nei primi due corsi, sono progetti che continueremo nei prossimi due anni, non per il solo gusto di apparire, ma convinti che, senza formazione non si va avanti. Qualcuno parla di ricambio della classe dirigente basato sull’età anagrafica; ma è stato fatto notare che l’età di ognuno è data dal tempo che rimane da vivere. Meglio quindi ancorare il processo di rinnovamento alla passione, all’adesione ai valori della Cisl, alla competenza e all’impegno serio.