25/11/2008
Piano Casa del Governo, intenti e contraddizioni. Commento del SICET
COMUNICATO
Il nuovo Piano Casa del Governo: intenti e contraddizioni

Nei giorni scorsi si è svolto a Roma un seminario promosso dal SICET avente per oggetto il nuovo cosiddetto piano casa del governo. Cosiddetto perché come ampiamente esposto dalla relazione introduttiva della Segreteria Nazionale (scaricabile dal sito del SICET all'indirizzo http://www.sicet.it/pages/varie/08-11-10_relazione_PianoCasa.pdf), più che di “piano casa” sarebbe il caso di parlare di “piano per il sostegno del mercato immobiliare”. Il progetto di legge, che trae i fondi per il proprio finanziamento facendo razzia delle somme stanziate in precedenza per altri piani di edilizia, da infatti spazio a capitali privati e alla finanza per l'attuazione di programmi di housing sociale che di sociale hanno ben poco.

Il piano si ripropone di rispondere all’emergenza abitativa, che ormai da oltre un decennio grava sulle spalle dei cittadini, attraverso l’offerta di alloggi in affitto e in proprietà, costruiti con il coinvolgimento di capitali pubblici e privati. Il finanziamento pubblico potrà avvenire in due modi:
o Attraverso l’istituzione di un fondo statale che raccoglierà stanziamenti in precedenza destinati ad altri progetti di costruzione e recupero per co-finanziare gli interventi promossi, accanto ad un sistema integrato di fondi immobiliari privati, che potrà partecipare ai piani locali fino ad un 40% dell'investimento, con possibilità di deroga per alcuni casi pari al 10% (quindi fino al 50%).
o Attraverso il “project financing”, uno strumento tramite cui diversi promotori si associano in un'entità distinta per l'esecuzione di un progetto che verrebbe poi finanziato in parte da fondi pubblici. In tal modo si configura un sistema in cui la società di progetto è il centro ideale e dunque i suoi scopi, per quanto legati a vincoli contrattuali, divengono il motore principale dell'investimento. E lo scopo di una società di progetto è il lucro, ottenuto tramite la locazione/vendita degli alloggi. Va da se che vengano meno le finalità sociali dei progetti stessi, i quali dovranno garantire ai promotori un livello di reddito ritenuto adeguato alle proprie aspettative ed in generale alla retribuzione del capitale investito.

La stessa costruzione di nuovi alloggi destinati alla vendita, però, appare essere fuori luogo non solo perché si ripropone di assolvere ad un compito che probabilmente non dovrebbe gravare sulla finanza pubblica e che potrebbe essere risolto tramite una corretta regolamentazione del mercato, ma anche in virtù delle circa 40.000 unità immobiliari costruite e rimaste invendute nel solo anno passato (per un totale complessivo che si aggira a quasi dieci volte tanto).

Ed è la stessa definizione di alloggio sociale che fa acqua, tralasciando di correlare in qualche modo il disagio patito con la forza degli interventi accordati per l'accesso al sistema abitativo pubblico, e crea i presupposti per un utilizzo strumentale del piano e per una nuova spinta speculativa nel mercato immobiliare.
Sebbene infatti i beneficiari finali paiono essere giovani coppie a basso reddito, immigrati regolari e famiglie sotto sfratto (con buona pace delle famiglie monoreddito), le case costruite in base a questo piano saranno concesse in affitto o in vendita a questi soggetti a prezzi calmierati o moderati che, per quanto siano al di sotto dei canoni richiesti dal mercato, sono comunque al di là di quanto sostenibile dalle famiglie più disagiate che sono di fatto completamente trascurate da un piano che mira a proteggere la classe media (il che potrebbe anche andar bene di per se) ma che lo fa a spese dei cittadini in condizioni di più grave difficoltà.

Si sostiene infatti che la mancata possibilità di partecipazione ai bandi per edilizia sociale renda la classe media maggiormente esposta alle pazzie del mercato ma in realtà si omette di dire che anche le classi meno abbienti sono di fatto escluse dai bandi a causa:
o dell'azzeramento della spesa e dei programmi d'edilizia residenziale pubblica (ossia le “case popolari”) e dalla loro riduzione a causa della destinazione a nuovi scopi diversi dall’edilizia sociale;
o della riduzione degli alloggi pubblici dovuta ai piani di vendita predisposti;
o dalla mancata applicazione delle procedure di decadenza che fanno si che cittadini con alti livelli di reddito possano ancora dimorare in case popolari.

In definitiva il piano in programma resta sostanzialmente un piano di procedure. L'offerta abitativa che si produrrà, infatti, è calcolabile soltanto a posteriori, una volta approvati i programmi attuativi che si verranno a produrre. Nonostante ciò i redattori del disegno di legge avanzano la pretesa di realizzare un cambiamento conclusivo delle strategie d'intervento fin qui perseguite dallo Stato in materia di politiche pubbliche della casa, portando però verso schemi e stili di welfare abitativo tipici di un modello di Stato sociale minimo.

Per questo il nostro parere sulla manovra in programma non può che essere negativo poiché riteniamo non si possa accettare l'idea di portare avanti un simile provvedimento spacciandolo per un piano di valenza sociale, quando in realtà priva Comuni e Regioni di fondi (in alcuni casi già stanziati) che sarebbero stati destinati alla vera edilizia sociale.

Mentre si dichiara il convincimento che la più necessaria delle politiche della casa sia oggi quella capace di un'organizzazione differenziata dell'offerta sociale o della protezione pubblica, in rapporto a fasce di domanda e d'accesso diverse, in sede di definizione di programmi e spesa l'area del disagio grave diventa invisibile e il social housing resta la sola (o prevalente) risposta.

Una risposta che, specie in un momento di crisi come quello attuale, in cui un ulteriore indebitamento dei cittadini non può che creare una situazione sociale ancor più esplosiva, non può essere in alcun modo condivisa se non da chi ritiene che la risposta al disagio dei cittadini sia un ulteriore finanziamento ad un mercato, quello immobiliare, che a causa di un’ondata speculativa senza precedenti, ha già creato storture che si sono ripercosse sull’intero sistema economico, italiano e mondiale.

a cura di Alessandro Turco. (Sicet Cagliari).